Potenziali Interazioni Farmaco-Cibo in Pazienti Ospedalizzati in un’Unità di Cardiologia
Il controllo e la mitigazione delle interazioni Farmaco-Cibo sono oggi importanti sfide, sia per tutti gli operatori sanitari che per le stesse strutture sanitarie, pubbliche e private. In questa prospettiva, il verificarsi di una interazione innesca immediatamente farmacovigilanza e vigilanza nutrizionale. Per questo motivo, in ciascuna unità sanitaria ospedaliera dovrebbe essere presente un team multi-professionale che dovrebbe prestare molta attenzione non solo alle possibili interazioni tra i farmaci ma anche tra farmaci ed alimenti.
I farmaci somministrati per via orale vengono assorbiti principalmente attraverso la mucosa gastrica e l’intestino tenue. Questi sono i siti prioritari per l’insorgenza delle più comuni interazioni tra farmaci ed i componenti della dieta, dal momento che cibo e farmaci subiscono processi di assorbimento molto simili nel nostro organismo.
Le interazioni sono sempre più frequenti proprio perché la maggior parte dei farmaci viene prescritta per via orale, specialmente come solidi, grazie alla facilità d’uso, al basso costo e alla maggiore aderenza al trattamento. Un altro fattore che può influenzare l’assorbimento di farmaci e/ o i componenti della nostra alimentazione è la quantità di farmaci prescritti, ovvero nel caso della politerapia. Ebbene, quando la prescrizione supera tre farmaci di diversa classe, esiste una maggiore possibilità che possano verificarsi interazioni significative. Ciò può comportare un cambiamento nell’efficacia del farmaco ma anche generare carenze nutrizionali per opera del farmaco su uno specifico nutriente.
Uno studio presentato di recente da una equipe di medici brasiliani (Rev. Nutr. 2019;32:e180147, http://dx.doi.org/10.1590/1678-9865201932e180147) ha avuto come obiettivo quello di analizzare potenziali interazioni farmaco-alimenti che si possono presentare in seguito a prescrizioni di farmaci a pazienti ricoverati nell’unità di cardiologia di un ospedale universitario di Rio de Janeiro, Brasile. Lo studio è stato effettuato su una coorte di 64 pazienti, di cui 36 uomini e 28 donne, con età compresa tra 61 e gli 80 anni. Di questi candidati pazienti, 43 individui avevano ipertensione, 25 avevano il diabete e 24 avevano cardiopatia come patologie caratterizzanti.
Inoltre, la prescrizione peR ciascun paziente considerato, conteneva un numero medio di 7,5 farmaci, numero che aumenta esponenzialmente le possibilità di una potenziale interazione farmaco-cibo. La prescrizione di farmaci era organizzata in tempi diversi in base al programma che prevedeva la somministrazione dei farmaci via orale tra le 06:00 e le 22:00, con una maggiore concentrazione al mattino presto e alla sera tardi, ovvero in concomitanza della colazione e della cena.
In questo studio sono state individuate ben 252 potenziali interazioni. Le classi di farmaci più ricorrenti nell’unità studiata sono state gli antipertensivi (40%), antiulcera (8%), antilipemici (7%) e antiaggreganti (7%). Di questi, i farmaci con più alto indice di interazione con gli alimenti sono risultati l’ acido acetilsalicilico (13%) e l’omeprazolo (13%). Anche l’atenololo (9%), il carvedilolo (8%), lo spironolattone (8%), l’idroclorotiazide (7%) e il warfarin (7%) si sono distinti tra quelli con potenziali interazioni.
Tra i farmaci, quello con la più alta ricorrenza e probabilità di interazione è risultato proprio l’Acido acetilsalicilico (ASA). Oltre ad essere un FANS, è anche un ben noto agente antipiastrinico che interagisce specificamente con la vitamina C (presente negli agrumi, kiwi e in alcune verdure) riducendone l’assorbimento e aumentandone l’escrezione. Si è registrata anche un’interazione con la vitamina K (presente in vegetali e oli), riducendo le riserve organiche di questo nutriente e causando un aumento dell’escrezione di tiamina, acido folico e amminoacidi. Questi eventi spingono a raccomandare di non mangiare cibi ricchi di vitamina C e K in concomitanza o vicino all’uso di ASA, ma piuttosto dando preferenza all’utilizzo di ASA negli intervalli tra i pasti principali.
L’Omeprazolo, che appartiene alla classe dei farmaci antiulcera, interagisce con la vitamina B12 (presente in quantità elevate nelle proteine animali) ed il ferro (presente nelle proteine animali, leguminose e vegetali), causando esaurimento e conseguentemente un basso assorbimento di questi nutrienti. Pertanto, al fine di evitare tale interazione, è necessario non utilizzare omeprazolo insieme a cibi che sono fonti di vitamina B12 e ferro. Per questo motivo è raccomandabile la loro somministrazione una o due ore dopo la loro ingestione.
Tra i farmaci antipertensivi, si è evidenziato che l’atenololo in generale interagisce con il cibo, poiché può modificare la concentrazione plasmatica del farmaco, diminuendone l’assorbimento. Pertanto, è bene somministrarlo ore dopo i pasti. Infine, lo spironolattone, diuretico risparmiatore di potassio, interagisce con il cibo, favorendo l’assorbimento del farmaco ma ritenzione di potassio. Quindi, si raccomanda di non somministrarlo insieme a cibi ricchi di questo nutriente, come avocado e banana. Il Carvedilolo e idroclorotiazide, d’altra parte, danno origine, per paradosso, ad una proficua interazione. Infatti, il loro uso concomitante è raccomandato poiché il contatto tra il cibo e il carvedilolo riduce il disagio gastrointestinale e l’ipotensione ortostatica causata dal farmaco e, a contatto con l’idroclorotiazide, ne favorisce l’assorbimento.
Infine, il warfarin, che appartiene alla classe degli anticoagulanti, è tra i farmaci della sua categoria più descritto e conosciuto. Raggiungere livelli terapeutici ottimali di questo farmaco è difficile in quanto potrebbe interagire con un’ampia varietà di alimenti. L’interazione più conosciuta è con la vitamina K (presente in verdure come broccoli, cavoli, prezzemolo e spinaci): riduce l’effetto del farmaco, promuovendo la coagulazione del sangue e aumentando i rischi di trombi.
E poi lo studio se da una parte mette ancora in evidenzia l’importanza di conoscere le potenziali interazioni, dall’altra parte fa notare che alcune interazioni potrebbero portare benefici, come quella tra carvedilolo e idroclorotiazide. Infatti, usati in concomitanza con il cibo, riducono il disagio gastrico in quanto il cibo favorisce l’assorbimento del farmaco.
Quindi, attraverso la descrizione e l’identificazione delle potenziali interazioni farmaco-cibo questo studio è stato in grado di evidenziare la necessità di una migliore formazione del team multiprofessionale. Sulla base di una migliore conoscenza dell’argomento, può essere fornita un’assistenza più sicura e più efficiente.
Questo dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi per tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private. Solo in tal modo sarà possibile garantire una maggiore efficacia terapeutica ma soprattutto con ridotti effetti collaterali che molto spesso sono quantificabili non solo in termini economici ma anche in termini di vite umane.