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 Le interazioni Farmaco-Microbiota

Il microbiota intestinale umano è responsabile dell’efficacia dei farmaci, determinando la riuscita di una terapia farmacologica. Ugualmente, anche i principi attivi ed gli eccipienti contenuti nelle varie forma farmaceutiche somministrate per via orale, possono avere un impatto sui batteri intestinali operando la nascita di una disbiosi. Tuttavia, le interazioni farmaco-microbiota sono ancora poco studiate in ambito clinico, soprattutto in casi di polifarmacia sempre più presente in una popolazione di anziani e in presenza di comorbilità.

Recenti studi clinici effettuati su farmaci comunemente usati, hanno fornito interessanti risultati che giustificano la necessità di conoscere le conseguenze critiche che nascono in seguito alle interazioni tra farmaco e microbiota e viceversa. Conoscere le potenziali interazioni tra farmaci e la composizione del microbioma intestinale è importante per comprendere il reale meccanismo e lo sviluppo di alcuni effetti collaterali dei farmaci. Tant’è vero che l’uso indiscriminato degli inibitori della pompa protonica (PPI), farmaci che inibiscono la produzione di acido gastrico, è stato associato con un aumento dei batteri tipicamente orali nell’intestino, modificando in tal modo l’equilibro del microbioma intestinale. E’ importante, pertanto, salvaguardare il microbioma intestinale soprattutto in casi di polifarmacia, ovvero di uso di più farmaci per differenti patologie. Ma soprattutto a fare attenzione nell’utilizzare in modo improprio i supplementi della dieta, ovvero integratori e congeneri, che potrebbero far modificare la composizione del microbioma e quindi la nascita di disbiosi con conseguenze negative per i pazienti.

Di seguito si riportano le più comuni interazioni al momento note tra farmaci e microbiota, e viceversa.

INTERAZIONI DI FARMACI  CON IL MICROBIOTA INTESTINALE

Antibiotici: gli antibiotici sono noti per alterare il microbioma intestinale uccidendo i batteri nocivi ma anche quelli benefici, il che può portare a disbiosi (disequilibrio del microbioma) e conseguenze negative sulla salute. Una terapia prolungata per più di 5 giorni distrugge in modo irreversibile in nostro microbiota.

Farmaci per la malattia infiammatoria intestinale (IBD): i farmaci utilizzati per trattare l’IBD, come gli anti-infiammatori non steroidei (FANS), possono danneggiare la permeabilità intestinale e alterare il microbioma.

Farmaci e Terapia Antitumorale: la chemioterapia può uccidere batteri benefici nel tratto intestinale e causare disbiosi. I farmaci chemioterapici e radioterapici utilizzati per il trattamento del cancro possono influire sulla composizione del microbioma e compromettere la funzione immunitaria.

Farmaci per il diabete: alcuni farmaci per il diabete, come la metformina, possono influenzare la composizione del microbioma con effetti sensibili sull’obesità e sulla qualità del diabete stesso.

Farmaci Antidepressivi: alcuni antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), possono alterare la composizione del microbioma e influenzare la funzione intestinale.

Farmaci per il cuore: alcune classi di farmaci per il cuore, come i beta-bloccanti, possono alterare la composizione del microbioma e influenzare la funzione intestinale.

Farmaci Antiasmatici: alcuni farmaci per l’asma, come i corticosteroidi, possono influenzare la composizione del microbioma e aumentare il rischio di infezioni.

Farmaci antinfiammatori: alcuni farmaci antinfiammatori, come il paracetamolo e l’ibuprofene, possono influenzare la composizione del microbioma e aumentare il rischio di infezioni.

Farmaci per la riduzione del colesterolo: alcuni farmaci per la riduzione del colesterolo, come le statine, possono influenzare la composizione del microbioma e modificare il rischio di malattie cardiovascolari.

INTERAZIONE DEL MICROBIOTA INTESTINALE CON I FARMACI

Clopidogrel: il clopidogrel è un farmaco antitrombotico comunemente usato per prevenire la formazione di coaguli di sangue. Tuttavia, il clopidogrel deve essere attivato dal fegato e dal microbioma intestinale, il che significa che il microbioma può influenzare l’efficacia del farmaco.

Metotrexato: il metotrexato è un farmaco antitumorale che viene metabolizzato dal fegato e dal microbioma intestinale. Uno studio ha dimostrato che i batteri intestinali possono influenzare la risposta al metotrexato e che la somministrazione di antibiotici può alterare la risposta del paziente al farmaco. I cambiamenti nella composizione del microbioma possono influenzare l’efficacia del metotrexato e la risposta del paziente al farmaco

LevoDopa: la L-dopa è un farmaco utilizzato per trattare i sintomi della malattia di Parkinson. Tuttavia, i batteri intestinali possono metabolizzare la L-dopa prima che raggiunga il cervello, il che può ridurre l’efficacia del farmaco.

Metformina: la metformina è un farmaco comunemente usato per il trattamento del diabete. Uno studio, come già accennato sopra, ha dimostrato che la metformina può influenzare la composizione del microbioma intestinale e che questi cambiamenti possono influenzare l’efficacia del farmaco stesso.

Warfarin: la warfarin è un anticoagulante comunemente usato per prevenire la formazione di coaguli di sangue. Tuttavia, il microbioma può influenzare la risposta del paziente alla warfarin e la somministrazione di antibiotici può alterare la risposta del paziente al farmaco.

Rituximab: il rituximab è un farmaco utilizzato per il trattamento di alcune forme di cancro e malattie autoimmuni. Uno studio ha dimostrato che il microbioma intestinale può influenzare la risposta del paziente al rituximab.

Chemioterapia: la chemioterapia è un trattamento per il cancro che può influenzare la composizione del microbioma intestinale e causare effetti collaterali gastrointestinali. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che l’uso di probiotici può aiutare a prevenire questi effetti collaterali.

Omeprazolo: l’omeprazolo è un farmaco utilizzato per trattare il reflusso gastroesofageo e altre condizioni gastrointestinali. Uno studio ha dimostrato che l’omeprazolo può influenzare la composizione del microbioma intestinale e ridurre la diversità batterica.

Metotrexato: come menzionato in precedenza, il metotrexato è un farmaco antitumorale che può essere metabolizzato dal microbioma intestinale.

 Gli Inibitori della Pompa Protonica Alterano la Composizione del Microbiota Intestinale

Gli inibitori della pompa protonica (abbreviati con PPI) fanno parte di una classe particolare di farmaci in grado di sopprimere la produzione di acido a livello gastrico. In realtà, sono dei profarmaci, poiché diventando funzionali solo nell’ambiente acido dello stomaco. In seguito alla loro attivazione, inibiscono le pompe idrogeno-potassio (H+/K+ ATPasi), costituite da proteine di transmembrana, responsabili del rilascio di acido cloridrico nel lume dello stomaco.

Sebbene questi farmaci siano usati per trattare i disturbi del tratto gastrointestinale quali ulcere peptiche sanguinanti, esofagite erosiva, e reflusso gastroesofageo, molto di frequente vengono anche utilizzati in profilassi per prevenire le ulcere da stress e per ridurre la tossicità gastrointestinale associata a determinati farmaci, compresi gli antinfiammatori non steroidei, aspirina e steroidi, nonostante questa pratica non abbia sufficienti prove cliniche a suo favore. Difatti oggi si assiste ad un loro abuso, e quasi sempre clinicamente vengono associati a molte terapie anche quando non vi è un reale bisogno. Questa pratica può essere spiegata, pertanto, solo dal fatto che questa classe di farmaci è tra le più redditizie in ambito farmaceutico; tuttavia, i diversi effetti collaterali generati dal loro uso improprio ha portato ad investigare sulla reale necessita di utilizzo.

L’analisi ha mostrato che oltre il 70% delle prescrizioni di PPI potrebbe essere inappropriato, specialmente per un’inutile profilassi dell’ulcera da stress, in mancanza di una vera evidenza.

Inoltre, recentemente, sono stati identificati numerosi effetti collaterali, tra cui carenze nutrizionali, aumento del rischio di fratture ossee e rischi di infezioni enteriche; in particolare, si è osservato un maggior rischio di polmonite acquisita in comunità e infezioni sostenute dal Clostridium difficile nei riguardi del quale è stato dimostrato che gli IPP ne favoriscono lo sviluppo.

È stato anche dimostrato che l’uso di PPI aumenta il rischio di peritonite batterica spontanea e altre forme di infezione batterica nei pazienti con cirrosi e ascite, suggerendo che l’uso improprio di PPI può rappresentare un rischio elevato per le persone già suscettibili a infezione e altre complicazioni, come ad esempio, nei pazienti anziani e negli individui più fragili o obesi (Gut 2016;65:749–756. doi:10.1136/gutjnl-2015-310861).

Gli studi delle interazioni tra gli inibitori della pompa protonica ed il microbiota sono solo all’inizio ma questi preliminari dati dovrebbero far riflettere la comunità scientifica e clinica nel disporre ed adoperare questi farmaci solo in caso di vera necessità e di non eccedere in una ipotetica profilassi, tra l’altro, non giustificata da sufficienti prove, probabilmente soltanto per fini meramente economici.

 Il Microbiota Cutaneo ed i Probiotici Proteggono la Pelle dai Danni Indotti dai Raggi UV: La Nuova Sfida della Cosmeceutica e della Dermatologia

Recentemente la cosmeceutica e la dermatologia hanno mostrato grande interesse verso l’uso di probiotici per la funzionalità del microbiota cutaneo e hanno focalizzato i loro studi sul microbiota cutaneo e la sua interazione con la pelle e l’ambiente in cui viviamo.

I raggi UV rappresentano sicuramente uno dei fattori ambientali più preoccupanti che colpiscono la pelle quotidianamente, ma soprattutto nel periodo estivo mettendo a dura prova la nostra salute.  Gran parte degli studi effettuati fino ad oggi si sono concentrati sugli effetti dei raggi UV sulla pelle, ma pochi hanno indagato gli effetti sul microbiota e sull’importanza del microbiota cutaneo nella protezione cutanea da radiazioni UV. Infatti, gli effetti dei raggi UV sulla pelle possono influenzare indirettamente il microbiota cutaneo e i batteri stessi hanno imparato a sviluppare una resistenza ai raggi UV.

È stato dimostrato che le radiazioni UV influenzano la composizione e l’attività del microbiota cutaneo, ma le sue conseguenze restano al momento ambigue, poiché ci possono essere fattori positivi, come causare una diminuzione dei patogeni opportunisti come lo Staphylococcus aureus, ma anche fattori negativi, a causa di comparsa di infiammazione cronica per sovrastimolazione di fattori pro-infiammatori.

Recentemente è stato studiato l’impatto dei raggi UVA e UVB sul microbiota cutaneo, su un gruppo di volontari, osservando l’alterazione del microbiota cutaneo dopo l’esposizione ai raggi UVA e UVB (Microorganisms 2021, 9, 936. bhttps://doi.org/10.3390/microorganisms9050936).

Sebbene i cambiamenti fossero molto variabili, da questo studio si è osservato che i batteri del genere Cyanobacteria tendono ad aumentare mentre Lactobacillaceae e Pseudomonadaceae tendono a diminuire. L’aumento dei cianobatteri è stato attribuito alla loro elevata resistenza intrinseca ai raggi UV. In effetti, i cianobatteri sviluppano una varietà di meccanismi di difesa compresa la biosintesi di composti che assorbono/schermano i raggi UV, come le micosporine amminoacidi (MAA) ed enzimi, tra cui la superossido dismutasi (SOD), che contrastare lo stress ossidativo. I raggi UV influenzano direttamente anche i batteri cutanei come Cutibacterium acnes riducendo la loro produzione di porfirine. L’UV agisce anche su un altro comune batterio cutaneo, Micrococcus luteus. Questo ceppo ha la straordinaria proprietà di essere in grado di antagonizzare l’effetto deleterio dei raggi UV sul sistema immunitario attraverso l’inversione dell’acido cis-urocanico formato dai raggi UV durante l’esposizione cutanea.

Questa evidenza ha portato l’industria cosmeceutica e dermatologica a prendere in considerazione il microbiota cutaneo nello sviluppo di prodotti utilizzati per la fotoprotezione.

Formulazioni di prodotti cosmetici contenenti probiotici e postbiotici come ingredienti base, rappresentano una nuova strategia per bloccare gli effetti delle radiazioni UV e proteggere o ripristinare l’equilibrio del microbiota cutaneo grazie alla loro azione antiossidante e/o antinfiammatoria.

 Farmacomicrobiomica: il complesso mondo delle interazioni farmaco-microbioma

Da oggi su questo sito parleremo anche di Farmacomicrobiomica, ovvero le interazioni tra xenobiotici, farmaci, e il microbioma intestinale. Se consideriamo che nel nostro intestino ci sono più di 100 trilioni di batteri e che questi aiutano a modulare le funzioni di sviluppo, le difese immunologiche e nutrizionali del nostro organismo, non possiamo escludere le potenziali interazioni con i farmaci. In microbiota intestinale, attraverso la secrezione di enzimi operano attivamente nel metabolismo di sostanze chimiche estranee al corpo. Inoltre, sono in grado di modificare gli enzimi epatici e intestinali, e modulare l’espressione di geni metabolici umani, con conseguente impatto significativo sull’ingestione di xenobiotici, ossia di tutte quelle sostanze naturali o di sintesi estranee al corpo umano che possono provocare alterazioni e disfunzioni a livello cellulare e fisiologico.

Il microbioma intestinale umano è un ecosistema complesso che può mediare l’interazione dell’ospite umano con il suo ambiente. L’interazione tra microbi intestinali e farmaci non antibiotici comunemente usati è complessa e bidirezionale: la composizione del microbioma intestinale può essere influenzata dai farmaci, ma anche il microbioma può  influenzare la risposta di un individuo a un farmaco trasformando enzimaticamente la struttura del farmaco e alterandone la biodisponibilità, la bioattività o la tossicità. Il microbioma intestinale può anche influenzare indirettamente la risposta di un individuo all’immunoterapia nel trattamento del cancro. E’ chiaro, dunque, che comprendere come il microbioma metabolizzi i farmaci e riduce l’efficacia del trattamento è di notevole importanza per poter modulare il microbioma intestinale al fine di migliorare il trattamento.

 Le Interazioni Farmaco-Cibo sono sempre più frequenti: coinvolti più del 40% dei farmaci approvati dal 2010 ad oggi. Il caso dell’Ivacaftor usato nella Fibrosi Cistica.

In base ad un recente studio è stato messo in evidenza che circa il 40% dei farmaci autorizzati tra il 2010 e il 2017 mostra un significativo fenomeno di interazione con il cibo (O’Shea et al., 2019). Ciò suggerisce che durante lo sviluppo clinico dei farmaci, l’anticipazione dell’impatto del cibo sull’assorbimento dei farmaci e sugli effetti globali della sua farmacocinetica è di estrema importanza per evitare conseguenze critiche durante il loro uso terapeutico. Di conseguenza, la capacità di prevedere e anticipare l’effetto del cibo sulla somministrazione orale di farmaci è di immenso valore per lo sviluppo dei farmaci. Giusto per renderci conto dell’entità del problema, basti pensare che dei 26 farmaci per via orale licenziati nel 2020, per 11 di loro (42%) sono state riportate chiare evidenze di interazioni con conseguenze clinico-terapeutiche tale da poter far nascere serie reazioni avverse.

L’Ivacaftor (commercializzato con il nome di Kalydeko) è un modulatore della proteina CFTR, che ha dimostrato negli studi clinici controllati, ottime caratteristiche di efficacia e buone caratteristiche di sicurezza e, ormai da lungo tempo, viene prescritto a tutti i pazienti affetti da Fibrosi Cistica, portatori di mutazioni con difetto di gating (classe III) e di alcune mutazioni con funzione residua di proteina CFTR: l’esatto meccanismo che induce ivacaftor a potenziare l’attività di gating delle forme normali e di alcune forme mutanti di CFTR in questo sistema non è stato completamente chiarito. L’Ivacaftor viene classificato in base alla Biopharmaceutics Drug Disposition Classification System (BDDCS), come farmaco di classe 2, ovvero, farmaco poco solubile ma con elevata permeabilità e metabolismo. Per questo motivo deve essere somministrato con cibo ricco di grassi per favorire la sua biodisponibilità.

Spesso è associato in un regime terapeutico con il Tezacaftor, un altro farmaco usato nella fibrosi cistica ed approvato anch’esso nel 2020. E come l’Ivacaftor è classificato nella categoria 2 dal sistema BDDCS. Quindi, per essere concisi e chiari, si tratta di una terapia combinata che merita elevata attenzione per la somministrazione per via orale (a stomaco pieno e con grassi) onde evitare il non raggiungimento dell’obiettivo terapeutico. A questo bisogna aggiungere le potenziali interazioni metaboliche quando associati ad altri farmaci! Infatti, la dose di Ivacaftor deve essere aggiustata in caso di somministrazione concomitante con moderati e forti inibitori del CYP3A.

In caso di somministrazione concomitante con moderati inibitori del CYP3A (ad es. fluconazolo, eritromicina, verapamil), o forti inibitori del CYP3A (ad es. ketoconazolo, itraconazolo, posaconazolo, voriconazolo, telitromicina e claritromicina), la dose deve essere ridotta.

E per finire, vi ricordo il prezzo al pubblico come segnalato da una nota AIFA di Luglio 2021 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Confezione: 28 compresse da 150 mg – compressa rivestita con film, uso orale.

Prezzo al pubblico (IVA inclusa): Euro 14.853,60.

Conoscere questi aspetti significa fare terapia.

 

 Cioccolata e Vino non sempre fanno bene al…cuore!

Uno studio pubblicato su Nutrients (2021 Nov 26;13(12):4269. doi: 10.3390/nu13124269,) ha avuto come scopo quello di verificare i recenti rapporti sull’impatto del consumo di cioccolato e vino sulla salute cardiovascolare, con particolare anche alla contemporanea assunzione di specifici farmaci. Questi prodotti, da un lato, hanno dimostrato effetti negativi sul sistema cardiovascolare, ma dall’altro, se consumati in quantità ottimali, hanno benefici cardiovascolari ben individuati. In particolare, lo studio ha permesso di individuare che le dosi benefiche di questi due importanti cibi, sono, rispettivamente per donne e uomini, di 30/50 g e 130/250 ml per cioccolato e vino. Ovviamente, gli ingredienti attivi nei prodotti presi in considerazione in questo studio sono composti fenolici, caratterizzati da proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e anti-piastriniche.
Gli ingredienti cardioprotettivi più importanti, come documentato da diversi studi, sono i flavonoidi del cacao, inclusi flavoni, isoflavoni, flavanoni, flavonoli, flavanoli e antociani, che possono migliorare la capacità di efflusso di colesterolo in vitro.
Tuttavia, ci sono anche alcune segnalazioni di proprietà cardioprotettive di altri composti come esteri, ammine, ammine biogene, amminoacidi, acidi grassi, ingredienti minerali e vitamine. Gli effetti benefici ed i meccanismi d’azione dei composti bioattivi presenti nel cioccolato e nel vino dipendono da alcuni fattori, come l’età, il sesso, il peso corporeo e la presenza di ulteriori condizioni cliniche-patologiche. In questo studio è stato messo in evidenza che i pazienti che utilizzano farmaci cardiovascolari in presenza di questi due prodotti devono prestare attenzione al rischio di interazioni farmacologicamente rilevanti durante il loro uso.

A titolo di esempio, se l’acido acetilsalicilico (Aspirina) viene assunto insieme al vino (escludendo l’effetto dell’alcool), si ha un’interazione sinergica e un potenziamento dell’effetto antipiastrinico dovuto all’inibizione della ciclo-ossigenasi I (COX-I) nelle piastrine, con conseguente sanguinamento. D’altra parte, l’uso combinato di statine (ad es. Simvastatina, atorvastatina) con alcool porta ad un’inibizione del metabolismo di questi farmaci mediato dal CYP450 3A4 e ad un aumento della loro concentrazione sierica come risultato del metabolismo epatico condiviso. Inoltre, sono state riportate interazioni tra aspirina e acido gallico presenti nel vino.

Tuttavia, possono verificarsi interazioni anche con altri componenti attivi contenuti in questi prodotti, in particolare i polifenoli come il resveratrolo, seguito dalla quercetina. Poiché la farmacocinetica e la farmacodinamica dei farmaci possono essere alterate dalla presenza di macronutrienti come i grassi, i farmaci lipofili vengono assorbiti meglio in presenza di grasso; quindi, è probabile che simvastatina, atorvastatina e lovastatina vengano assorbite meglio dopo aver consumato cioccolato, mentre fluvastatina e pravastatina, a causa della loro natura idrofila, in presenza di vino. Un altro punto da notare è l’effetto del pH del cibo. Il vino con un pH di 3,5-4,0 provoca l’acidificazione del contenuto gastrointestinale, che può provocare una riduzione dell’assorbimento dei farmaci alcalini e aumentare l’assorbimento dei farmaci acidi.

Tuttavia, sono ancora in corso studi su larga scala per determinare gli effetti dei polifenoli e del loro principale rappresentante, il resveratrolo, sulla farmacocinetica e sulla farmacodinamica dei farmaci. Molti studi hanno valutato l’effetto dei componenti del vino rosso sull’attività del CYP3A4. dimostrando che il trans-resveratrolo può inibire o inattivare in modo non competitivo CYP3A4 e CYP3A5 e modulare l’attività del CYP a livello di trascrizione genica.

È da notare, comunque, che il resveratrolo molto probabilmente non è l’unico componente del vino rosso che induce l’inattivazione del CYP3A4. Infatti, è stato riportato che anche le frazioni di vino rosso prive di resveratrolo inibiscono significativamente il CYP3A4 in vitro. Inoltre, la quantità di resveratrolo presente nel vino rosso (1 bicchiere) è troppo bassa per tenere conto del grado di inattivazione del CYP3A4 osservato. Gli studi in corso faranno maggiore chiarezza a tal proposito, ma intanto è bene fare attenzione all’uso contemporaneo di questi due alimenti, e comunque aggiunti alla dieta in giuste dosi, in presenza di una terapia con farmaci che necessitano del CYP 3A4 per la loro metabolizzazione, onde evitare interazioni critiche.

 L’Inibizione del CYP2C9 da parte di prodotti naturali: un potenziale rischio di interazioni tra prodotti Naturali e Farmaci

Il coenzima CYP2C9 è considerato, dopo il più noto CYP3A4, uno dei più abbondanti enzimi appartenenti alla famiglia del CYP450, tanto da rappresentare il 20% del contenuto totale del CYP epatico. Ad oggi è noto che circa il 15% dei farmaci clinici più comunemente usati, inclusi il warfarin, diclofenac, tolbutamide, celecoxib, losartan, diazepam e la fenitoina, sono metabolizzati principalmente dal CYP2C9.

Questo enzima è altamente polimorfico per cui le sue varianti alleliche con modifiche funzionali possono avere impatti funzionali sulla specificità del substrato e l’attività catalitica di un certo grado. Il tutto si traduce in una scarsa metabolizzazione dei farmaci con potenziali effetti tossici nei soggetti che presentano queste variazioni alleliche.

Negli ultimi tempi, l’uso di prodotti naturali ed in particolare di prodotti fitoterapici, è diventata una scelta terapeutica sempre più diffusa, supportata dal fatto che un prodotto “naturale” non dovrebbe provocare reazioni avverse o inaspettate come un principio attivo di “sintesi” o comunque generato in laboratorio.

In realtà, un estratto naturale di una pianta o comunque un qualunque altro suo derivato, è costituito da più componenti attivi, ovvero da più componenti rappresentati da diverse classi di composti organici e, molto spesso, hanno anche azione multi-target, ossia agiscono su svariati fattori. Tra questi effetti, è probabile che questi ingredienti possano avere anche effetti inibitori su vari CYP con conseguente aumento di potenziale interazioni con il metabolismo dei farmaci, portando quindi a eventi avversi e reazioni collaterali nell’uomo ed alcune possono essere persino fatali, come nel particolare caso di farmaci che hanno un indice terapeutico molto ristretto.

Ad esempio, il Warfarin, un anticoagulante con una ristretta finestra terapeutica, è prevalentemente metabolizzato dal CYP2C9.

Il warfarin, uno degli agenti anticoagulanti più prescritti, è costituito da una miscela racemica degli enantiomeri, S- e R-warfarin. L’isomero S-warfarin, che è da 3 a 5 volte più potente dell’R-warfarin, viene eliminato principalmente attraverso modifiche di idrossilazione tramite il CYP2C9. Pertanto, l’attività del CYP2C9 regola la concentrazione plasmatica allo stato stazionario di S-warfarin, questo rende il metabolismo di importanza significativa per la risposta anticoagulante.

Pertanto, quando il S-warfarin viene somministrato contemporaneamente con inibitori del CYP2C9, i profili farmacocinetici possono essere ridotti, portando ulteriormente ad un aumento del rischio di sanguinamento soprattutto nei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici.  Se consideriamo come prodotto naturale il Ginkgo Biloba, il quale contiene flavonoidi come l’amentoflavone dotato un forte effetto inibitorio sul CYP2C9 umano, sono possibili conseguenze abbastanza serie che possono compromettere gravemente il quadro clinico del paziente.  Infatti, analizzando la composizione degli estratti flavonoidi del Ginkgo Biloba, si individuano almeno 33 flavonoidi tutti con un effetto inibitorio più forte sul CYP2C9 rispetto agli altri isoenzimi CYP1A2, CYP3A4 e CYP2E1. Pertanto, interazioni potenzialmente pericolose e dannose possono verificarsi tra estratti di Ginkgo biloba e farmaci anticoagulanti simili al warfarin, ma anche con altri farmaci come ad esempio antidepressivi (ad es. trazodone), diuretici e antinfiammatori non steroidei (i famosi FANS). Questi effetti non sono limitati solo ai componenti del ginkgo biloba ma anche agli estratti di piante molto più comuni, come l’aglio ed il ginseng ma comunque situazioni simili si possono verificare anche con altre specie di piante. Infatti, flavonoidi in grado di inibire il CYP2C9 sono stati riscontrati nelle specie di piante delle Scutellariae, Morus alba L., Genus artemisia, Silybum marianum e il tè verde.

Un altro esempio di principi attivi naturali che possono interferire con il CYP2C9 è rappresentato dalle saponine triterpeniche contenute nel ginseng, chiamate anche ginsenosidi. Tuttavia, i ginsenosidi non sono solo i principali costituenti biologicamente attivi di ginseng ma anche potenziali ingredienti nocivi che possono causare forti interazioni con i farmaci a causa dei loro effetti inibitori sull’enzima CYP2C9. Ma gli esempi non si concludono qui poiché numerosi triterpenoidi simili a quelli contenuti nel ginseng sono presenti in altre fonti naturali, come ad esempio nella Centella Asiatica, nella Andrographis paniculate e nella Lindera aggregata i cui componenti hanno forte effetto inibitorio sul CYP2C9.

È facile, pertanto, immaginare quali effetti possano avere questi prodotti naturali qualora vengano associati a farmaci che necessitano il CYP2C9 per essere metabolizzati.

Per tale motivo, per i farmaci caratterizzati da un indice terapeutico ristretto (es. Warfarin e fenitoina), è preferibile procedere con la valutazione del regime dietetico da praticare ma anche di un’analisi prospettica del genotipo del paziente per il CYP2C9 per facilitare l’efficacia ottimale della terapia e limitare le reazioni avverse al farmaco nei pazienti.

 

 

 

 Il Ruolo del Farmacista nella Politerapia: vediamo un esempio pratico

 

Sempre più spesso il Farmacista è chiamato in causa nella risoluzione di potenziali interazioni tra Farmaco-Farmaco e Farmaco-Cibo specialmente nel regime di politerapia nei pazienti anziani. Ma siamo sempre in grado di prevedere queste interazioni che possono far nascere rischi molto seri per il paziente? Per rendercene conto prendiamo, come esempio, una terapia molto comune in ambito cardiologico che associa i seguenti farmaci:

ATORVASTATINA
NEBIVOLOLO + IDROCLORODIAZIDE
PANTOPRAZOLO
LERCANIDIPINA
CARDIOASPIRINA

L’abbinamento di questi 6 principi attivi richiede una buona conoscenza delle informazioni inerenti le potenziali interazioni riportati negli studi clinici in continuo evoluzione. La mancanza di tali conoscenze da parte del Farmacista o di chi prescrive i farmaci, può essere considerata una grave mancanza di professionalità, con risvolti seri per il paziente. Vediamo cosa bisogna conoscere a proposito di questi principi attivi, lasciando da parte la Cardioaspirina, ed invitando il lettore a riflettere sull’esempio mostrato.

Pantoprazolo: Questo principio attivo può interferire con l’assorbimento di altri medicinali in cui il pH gastrico ha un ruolo determinante per la disponibilità orale, ad esempio, alcuni antimicotici come il Ketoconazolo, Itraconazolo, Posaconazolo, e altri medicinali come Erlotinib (antivirale). Il Pantoprazolo viene ampiamente metabolizzato nel fegato attraverso il sistema enzimatico del citocromo P450. La via metabolica principale è la demetilazione da parte di CYP2C19 e le altre vie metaboliche comprendono l’ossidazione da parte di CYP3A4. Il pantoprazolo non influenza il metabolismo dei principi attivi metabolizzati da CYP1A2 (come caffeina, teofillina), da CYP2C9 (come piroxicam, diclofenac, naprossene), da CYP2D6 (come metoprololo), da CYP2E1 (come etanolo), o non interferisce con l’assorbimento della digossina associato alla p-glicoproteina. Gli inibitori di CYP2C19 come fluvoxamina potrebbero aumentare l’esposizione sistemica di pantoprazolo. Per i pazienti trattati a lungo termine con dosi elevate di pantoprazolo, o quelli con compromissione epatica, può essere considerata una riduzione della dose.

Gli induttori enzimatici che influenzano CYP2C19 e CYP3A4 quali rifampicina, ed Erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) possono ridurre le concentrazioni plasmatiche dei PPI che vengono metabolizzati tramite questi sistemi enzimatici. Gli inibitori del CYP3A4 e della Glicoproteina-p possono aumentare le concentrazioni plasmatiche del farmaco (esempio il succo di pompelmo). Una valida raccomandazione è quella di incrementare la Vitamina B12 e il Magnesio. I pazienti a rischio di osteoporosi, come le donne in menopausa avanzato, devono assumere un adeguato apporto di Vitamina D e Calcio.Atorvastatina: L’atorvastatina viene metabolizzata nel fegato ad opera del CYP3A4 e convertita in orto e para-idrossiderivati e in diversi prodotti di beta-ossidazione. Entrambi i derivati idrossilati possiedono attività farmacologica, in grado di inibire l’enzima HMG-CoA reduttasi in modo pressoché equivalente a quella indotta dalla atorvastatina. E proprio per la presenza dei due derivati farmacologicamente attivi, l’effetto inibitorio sulla HMG-CoA reduttasi si mantiene per un tempo più lungo (20-30 ore) rispetto all’emivita del farmaco. L’inibizione dell’enzima CYP3A4 determina spesso aumenti moderati dei livelli plasmatici di atorvastatina, inferiori rispetto a quelli osservati con simvastatina. Pertanto, si consiglia di evitare il concomitante uso di alimenti che contengono sostanze in grado di inibire o di indurre l’attività di questo enzima. Farmaci potenti inibitori dell’isoenzima CYP3A4 (come ad esempio, acido fibrico ed i Fibrati ad azioneipolipidemizzante, niacina, ezetimibe, ciclosporina, telitromicina, claritromicina, ketoconazolo, inibitori della proteasi dell’HIV) possono provocare aumenti delle concentrazioni plasmatiche di atorvastatina e la somministrazione concomitante deve essere, possibilmente, evitata. Attenzione va prestata anche in presenza di anticoagulanti tipo Warfarin e antiaggreganti piastrinici, come il Clopidogrel, inibitore competitivo del CYP3A4. Nei pazienti trattati con clopidogrel è preferibile utilizzare pravastatina al posto della atorvastatina. Analogamente, induttori del CYP3A4 (efavirenz, rifampicina, erba di S. Giovanni) possono causare riduzioni delle concentrazioni plasmatiche di atorvastatina.

Nebivololo: Questo noto beta-bloccante selettivo, è un racemato di due enantiomeri, SRRR-nebivololo (o D-nebivololo) e RSSS-nebivololo (o L-nebivololo). L’effetto farmacologico è attribuito all’enantiomero SRRR (D-enantiomero). Entrambi gli enantiomeri di nebivololo sono rapidamente assorbiti dopo somministrazione orale. L’assorbimento di nebivololo non è influenzato dalla contemporanea assunzione di cibo e, pertanto, può̀ essere assunto con o senza cibo. E’ preferibile non associare questo principio attivo con Antiaritmici di Classe I (chinidina, idrossichinidina, cibenzolina, flecainide, disopiramide, lidocaina, mexiletina, propafenone) poiché si potrebbe riscontrare un possibile potenziamento dell’effetto sul tempo di conduzione atrio-ventricolare ed aumento dell’effetto inotropico negativo.Calcio-bloccanti tipo verapamil/diltiazem possono generare un effetto negativo sulla contrattilità e sulla conduzione atrio-ventricolare. Calcio-bloccanti, invece, di tipo diidropiridinici (amlodipina, felodipina, lacidipina, nifedipina, nicardipina, nimodipina, nitrendipina) usati in concomitanza possono aumentare il rischio di ipotensione e non si può̀ escludere un aumento del rischio di un ulteriore deterioramento della funzione ventricolare in pazienti con insufficienza cardiaca. I Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) non presentano alcun effetto sull’azione antiipertensiva del nebivololo.Il nebivololo, dopo somministrazione orale, viene ampiamente metabolizzato, in parte in idrossi-metaboliti attivi. Il nebivololo è metabolizzato via idrossilazione aromatica e aliciclica, N-dealchilazione e glucuronidazione con ulteriore formazione di glucuronidi degli idrossi-metaboliti. Il metabolismo del nebivololo per idrossilazione aromatica è soggetto al polimorfismo genetico ossidativo CYP2D6 dipendente. La biodisponibilità̀ orale del nebivololo è in media del 12% nei soggetti con metabolismo rapido ed è virtualmente completa nei soggetti con metabolismo lento. A causa della variabilità del metabolismo, il dosaggio di nebivololo deve essere sempre adattato individualmente al singolo paziente: i soggetti con metabolismo lento, perciò, possono richiedere dosaggi più bassi. Dato che l’isoenzima CYP2D6 è coinvolto nel metabolismo del nebivololo, la somministrazione concomitante di sostanze che inibiscono questo enzima, soprattutto paroxetina, fluoxetina, tioridazina e chinidina, potrebbe determinare un aumento dei livelli plasmatici del nebivololo con conseguente aumento del rischio di eccessiva bradicardia e reazioni avverse. La co-somministrazione di cimetidina, utilizzato come antiacido o gastroprotettore, ha determinato un aumento dei livelli plasmatici di nebivololo senza modificarne l’effetto clinico. La somministrazione contemporanea di ranitidina non ha influenzato la farmacocinetica del nebivololo. Dato che Nebivololo viene assunto durante i pasti ed i farmaci antiacidi vengono assunti fra i pasti, i due trattamenti possono essere prescritti contemporaneamente. Infine, il nebivololo non ha effetto sulla farmacocinetica e la farmacodinamica del warfarin.

Lercanidipina: La lercanidipina, un calcio bloccante di tipi diidropiridinico, non deve essere associato a forti inibitori dell’enzima epatico CYP3A4 (come ketoconazolo, eritromicina) o il farmaco immunosoppressore ciclosporina. Tanto meno con alimenti che contengono principi attivi in grado di inibire od attivare questo enzima. La biodisponibilità orale assoluta è bassa per l’elevato metabolismo presistemico della molecola (ad opera dell’isoenzima CYP3A4 intestinale). In presenza di cibo ad elevato contenuto in grassi, la biodisponibilità della lercanidipina aumenta di 4 volte. Il farmaco deve quindi essere somministrato prima del pasto. La Lercanidipina è costituita da due enantiomeri i quali mostrano un profilo farmacocinetico simile e non è stata osservata interconversione in vivo fra gli enantiomeri.Il farmaco è convertito in metaboliti inattivi principalmente dal CYP3A4 e il 50% circa della dose viene escreta nelle urine. In vitro, la lercanidipina ha evidenziato attività inibitoria verso il CYP3A4 e il CYP2D6 a concentrazioni di molto superiori (rispettivamente 160 e 40 volte) a quelle ottenute con la dose di 20 mg. Negli studi clinici, queste interazioni non sono state confermate, ed infatti, la lercanidipina non è in grado di modificare sostanzialmente la farmacocinetica né del midazolam, substrato del CYP3A4, né del metoprololo, substrato del CYP2D6. In ogni caso è bene agire con precauzione e controlli continui in caso di tali associazioni.E’ bene però evitare, in misura precauzionale, l’uso concomitante con inibitori del CYP3A4 come succo di pompelmo e la Ciclosporina. Si deve usare prudenza quando la lercanidipina è prescritta in concomitanza con altri substrati del CYP3A4, quali terfenadina, astemizolo, medicinali antiaritmici di classe III come l’amiodarone e la chinidina. Infine, gli induttori del CYP3A4 come gli anticonvulsivanti (es. fenitoina, carbamazepina) e la rifampicina possono ridurre i livelli sierici della lercanidipina e quindi l’efficacia del farmaco può risultare inferiore a quella attesa.Da uno studio clinico è stato osservato che quando la lercanidipina viene somministrata contemporaneamente al metoprololo, un β-bloccante selettivo che viene eliminato essenzialmente per via epatica, la biodisponibilità del metoprololo non si modifica, mentre quella della lercanidipina si riduce del 50%. Questo effetto può essere dovuto alla riduzione del flusso sanguigno epatico causata dai β-bloccanti e può quindi verificarsi con altri medicinali di questa classe. Di conseguenza, la lercanidipina può essere tranquillamente somministrata insieme ai beta-bloccanti ma con dovuti controlli per terapie a lungo termine.

 Le interazioni Farmaco-Cibo ed il Microbioma: si apre un nuovo scenario

Il Microbioma entra decisamente in gioco nella partita delle interazioni tra Farmaci e Cibo

Parlare oggi di interazioni tra farmaci e cibo, senza coinvolgere e chiamare in causa il nostro microbioma vuol dire limitare enormemente le conoscenze riguardo non solo all’efficacia di una terapia ma soprattutto al benessere stesso di un individuo.

Negli ultimi 2 anni, diversi studi pubblicati su riviste prestigiose, tra cui Cell e Nature, hanno evidenziato che esiste una stretta correlazione tra responso ed efficacia di un farmaco e il microbioma  e che il farmaco può avere un importante impatto sulla natura del nostro microbioma. Queste interazioni sono più complesse in regime di politerapia soprattutto se associate con un regime dietetico non ottimale. Le interazioni tra farmaci e intestino, ed in particolare con la composizione del microbioma, sono importanti per comprendere meglio il meccanismo d’azione del farmaco e capire come si sviluppano alcuni effetti collaterali tipici di alcune molecole (Cell 181, 1661–1679, June 25, 2020; NATURE Communications, (2020) 11:362 | https://doi.org/10.1038/s41467-019-14177-z).

È ben noto l’impatto degli antibiotici sulla composizione del microbioma intestinale, ma studi più approfonditi e basati su una determinata popolazione di pazienti, hanno evidenziato relazioni molto strette tra più gruppi di farmaci e natura del microbioma intestinale. Ad esempio, è stato notato che l’uso di inibitori della pompa protonica (PPI), farmaci che inibiscono la produzione di acido gastrico, è associato ad un aumento dei batteri tipicamente presenti nel cavo orale, nell’intestino. La metformina, un farmaco comunemente usato nel diabete di tipo II, è responsabile del cambiamento nella composizione del microbioma intestinale, in particolare con un aumento dei batteri che producono acidi grassi a catena corta.

Un differente studio ha reso evidente che, attraverso l’analisi in vitro di oltre 1000 farmaci commercializzati, anche i farmaci non antibiotici possono inibire la crescita di ceppi batterici nell’intestino. Quest’ultimo risultato è molto importante se si pensa che alcune malattie di origine immunitaria, come artrite reumatoide, infiammatoria intestinale nota come IBD e suscettibilità alle infezioni enteriche, sarebbero proprio dovute a modifiche nel microbioma intestinale. Ne consegue che i farmaci potrebbero essere essi stessi responsabili della nascita di altre patologie correlate a modifiche indotte sul microbioma. Quest’analisi rende chiaro come bisogna essere consapevoli di quali conseguenze possono nascere quando si fa uso in modo improprio e non ottimale di farmaci che hanno un elevato impatto sulla natura del microbioma.

Non ultimo, ricordiamo che ogni essere umano ha un differente microbioma intestinale, che può metabolizzare i farmaci in modo totalmente diverso. Il microbioma intestinale umano ospita, infatti, centinaia di specie batteriche con diverse capacità biochimiche. Decine di farmaci hanno dimostrato essere metabolizzati da singoli ceppi batterici isolati dal microbioma intestinale che varia, ovviamente, da individuo a individuo. Pertanto, il microbioma intestinale può essere molto importante nel metabolizzare i farmaci e, quindi, per i metaboliti che si vengono a creare. E, se da un lato può essere visto come la spiegazione razionale del fatto che alcuni sviluppano reazioni avverse o rispondono in modo differente alla terapia di un farmaco, dall’altro queste conoscenze possono essere utilizzate per lo sviluppo di farmaci da utilizzare nella medicina personalizzata.

 Remdesivir e Favipiravir: cosa conoscere a riguardo delle loro interazioni

In quest’ultimo periodo, che ricorderemo come il tempo del COVID19, abbiamo sentito parlare spesso di farmaci antivirali, precedentemente sviluppati per altre infezioni virali, ma che son risultati essere in parte efficaci anche come anti COVID19. Tra questi, sicuramente vanno annoverati due in particolare: il Remdesivir e il Favipiravir.

Recentemente, la FDA ha rilasciato l’autorizzazione all’uso del farmaco antivirale sperimentale Remdesivir per il trattamento di COVID-19. Sebbene siano note informazioni limitate sulla sicurezza e l’efficacia dell’uso di Remdesivir per il trattamento delle persone in ospedale con COVID-19, in uno studio clinico è stato dimostrato che il farmaco può ridurre i tempi di recupero in alcuni pazienti. Il Remdesivir, noto anche con la sigla GS-5734, è un analogo dell’adenosina trifosfato riportato, per la prima volta in letteratura nel 2016, come potenziale farmaco nel trattamento dell’Ebola. Nel 2017, è stata dimostrata anche la sua attività contro la famiglia dei coronavirus. Ecco perché il Remdesivir è stato anche studiato come potenziale farmaco nel trattamento del SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19

Apparentemente, il Remdesivir è un substrato in vitro degli isoenzimi del CYP450, ossia, CYP2C8, 2D6 e 3A4. Tuttavia, la comprensione più attuale è che il metabolismo in vivo del Remdesivir è dominato dall’attività dell’idrolasi, il che suggerisce che è improbabile che si verifichi la gamma di interazioni farmaco-farmaco clinicamente rilevanti, quando viene associato con farmaci inibitori e/o induttori del CYP2C8 /2D6/3A4. Poco o quasi nulla si conosce a riguardo delle interazioni farmaco-cibo.

Il Remdesivir è un pro-farmaco che viene rapidamente metabolizzato dopo somministrazione orale o endovenosa nei metaboliti GS-704277, GS-441524 e al metabolita farmacologicamente attivo GS-443902. Poiché il Remdesivir è un substrato di CYP2C8, CYP2D6, CYP3A4 e dei trasportatori OATP1B1 e P-gp in vitro, la somministrazione concomitante con inibitori di queste isoforme del CYP e i trasportatori deve essere ben valutata per non creare aumenti di livelli ematici di Remdesivir

Sicuramente, la dose di Remdesivir può essere influenzata da forti induttori, e pertanto la somministrazione concomitante di questo farmaco con cibi che contengono induttori di questi trasportatori, non è raccomandata. Naturalmente, si può ovviare a questo problema non ancora estensivamente studiato, somministrando questo farmaco per via IV. Il Remdesivir è, comunque, anche un induttore del CYP1A2 e del CYP2B6 in vitro (aumento dell’mRNA) ma considerando la ridotta esposizione di questo farmaco, è improbabile che si traduca in un’interazione clinicamente significativa con i substrati di questi enzimi.

L’altro farmaco, ossia il Favipiravir (FAVI, o meglio noto come AVIGAN) è anch’esso un pro-farmaco, come il Remdesivir sopra descritto. Per essere efficace come antivirale, richiede una conversione in un metabolita attivo in vivo attraverso un enzima, ossia, l’ipossantina-guanina fosforibosiltransferasi umana (HGPRT).

Poiché l’acyclovir è noto per essere un inibitore in vitro dell’HGPRT, è giusto prendere in considerazione che la co-somministrazione di questi due farmaci possa compromettere l’efficacia del FAVI. Pertanto, i medici che prescrivono acyclovir per un paziente già in trattamento con FAVI devono considerare la possibilità di una riduzione dell’efficacia del FAVI contro il nuovo coronavirus a causa della riduzione della conversione del profarmaco. In base al metabolismo e alla clearance, le interazioni farmacologiche clinicamente significative sono minime. Favipiravir è un inibitore debole dei seguenti isoenzimi: CYP 1A2, 2C9, 2C19, 2D6, 2E1 e 3A4 e ha mostrato un’induzione scarsa o nulla dei CYP 1A2, 2C9, 2C19 e 3A4 negli epatociti umani.

Il Favipiravir, sebbene non sia un substrato del CYP450, inibisce il CYP2C8 ed è necessario osservare cautela in combinazione con altri farmaci metabolizzati attraverso questa via. Il Favipiravir è, infatti, risultato responsabile dell’aumento della Cmax e l’AUC del Repaglinide (ipoglicemizzante orale) del 28% e del 52%, rispettivamente, a causa dell’inibizione del CYP2C8.

Pertanto, la co-somministrazione con altri farmaci, substrati del CYP2C8, come Paclitaxel (antitumorale), Rosiglitazone (ipoglicemizzante orale), Torasemide (diuretico dell’ansa) e Buprenorfina può rappresentare un rischio per un aumento degli effetti farmacologici di questi farmaci somministrati contemporaneamente.

Infine, il metabolismo di questo farmaco può essere inibito da altri farmaci, quali la Cimetidina, il Tamoxifene, i bloccanti dei canali del calcio e l’Ondansetron (antiemetico). Per questo motivo, è bene evitare l’associazione con questi farmaci.

 

 

 

 Farmaconutrigenetica: l’Impatto della Genetica sulle Interazioni Farmaco-Nutrienti

Combinando dati genetici con quelli clinici si dovrebbero poter ottenere diagnosi più precise e di conseguenza terapie più efficaci.

Ecco perché la medicina di precisione rappresenta una delle metodologie più all’avanguardia in quest’ambito, riconoscendo a ogni paziente la propria unicità. 

Nel 2015, in un articolo pubblicato su Nature (Nature 520, 609–611, doi:10.1038/520609a) è stato riportato che i dieci farmaci con il maggiore fatturato negli Stati Uniti funzionano, nel migliore dei casi, in un paziente su quattro (nel peggiore, in uno su 25). In altre parole, milioni di persone prendono medicine che hanno per loro scarsa o nessuna efficacia perché è impossibile sapere in anticipo su chi farà effetto. Cerchiamo di capire perché.

Tutti noi siamo a conoscenza del fatto che una volta che un agente farmacologico entra nel corpo, questo subisce, inevitabilmente, metabolismo o biotrasformazione per facilitare l’escrezione. Questo processo ha lo scopo di rendere il farmaco più solubile in acqua e di  evitare un suo riassorbimento, il che comporta anche l’eliminazione degli effetti farmacologici del composto e riduce la sua potenziale tossicità all’interno dell’organismo. 

Alcuni farmaci vengono somministrati come profarmaci per cui devono essere per forza biotrasformati per produrre un metabolita attivo in grado di indurre effetti terapeutici. Tuttavia, la maggior parte sono somministrati come farmaci attivi, che poi vengono sottoposti a biotrasformazione per inattivarsi.

La variabilità genetica dei livelli di espressione degli enzimi metabolizzanti responsabili della biotrasformazione può far variare notevolmente l’azione di un farmaco nel corpo umano. Ciò significa che la variazione genetica di questi enzimi responsabili della biotrasformazione è un fattore importante da considerare nel processo di prescrizione del farmaco, ossia ogni qual volta quando si decide una terapia supportata da un farmaco. Queste varianti genetiche possono avere un impatto sulla natura dell’agente farmacologico e, soprattutto, sulla dose reale rispetto a quella standard. Per rendere l’idea più esplicita, una variazione genetica che renda un enzima non funzionale può provocare una sovraesposizione ad un farmaco che non viene metabolizzato; d’altra parte, se questo enzima serve per attivare un profarmaco si può verificare una ridotta esposizione farmacologica del principio attivo con il rischio di non raggiungere il risultato terapeutico sperato. Inoltre, sappiamo che i farmaci vengono dosati partendo dal presupposto che il paziente possieda geni che codificano per enzimi completamente funzionali, ma in realtà questo non è vero per una parte della popolazione.

Gli isoenzimi CYP1, 2 e 3, che fanno parte della famiglia del citocromo P450 (CYP450) sono responsabili della biotrasformazione del 70 e 80% dei farmaci usati clinicamente. Circa l’86% dei farmaci che vengono metabolizzati da un enzima CYP, sono legati per la loro attività, ad un particolare gene che codifica per lo specifico enzima CYP.  Pertanto, se si verifica una scarsa metabolizzazione da parte di un CYP, questo indica che il gene produce una proteina non funzionante e i portatori di questo fenotipo non sono in grado di metabolizzare i farmaci e quindi non traggono beneficio dagli effetti farmacologici di quel farmaco; soprattutto se si tratta di un profarmaco.

Quindi, è importante conoscere la variazione genica dell’espressione degli enzimi metabolizzanti del CYP450 per rendere efficace una terapia farmacologica. In tale contesto la farmacogenetica può essere utile ad indicare più precisamente non solo l’agente farmacologico più appropriato ma indirizzare anche verso la dose necessaria per un determinato paziente.

La FDA e la Clinical Pharmacogenetics Implementation Consortium (CPIC), riconoscono che attualmente ci sono più di 160 farmaci, che coprono varie aree terapeutiche, con informazioni genetiche consolidate a riguardo dell’importanza delle mutazioni geniche e che potrebbero essere utilizzate nel processo di prescrizione dei farmaci. Più di 30 geni sono implicati nel dosaggio di questi farmaci, molti dei quali codificano gli enzimi CYP. Ed è molto probabile che numerose persone siano caratterizzate da una certa variabilità genetica nell’espressione di questi enzimi.

È indispensabile ricordare che la prevalenza di genotipi che si traducono in un cambiamento della prescrizione di farmaci dallo standard di cura può variare a seconda del gruppo etnico considerato. Ad esempio, se è vero che la percentuale di pazienti considerati metabolizzatori lenti per un determinato gruppo etnico possa essere molto rara, può essere invece molto più comune in altri gruppi etnici. Sarebbe ideale ottenere informazioni genetiche nei pazienti di diversi gruppi etnici in modo che le decisioni cliniche possano essere prese in base ai risultati reali del genotipo, al posto di usare l’etnia come un unico fattore predittivo per capire come gli individui risponderanno a determinati farmaci.

In realtà, l’uso della genetica in campo nutrizionale abbinata agli interventi farmacologici, ovvero la  farmaconutrigenetica, oggi è stata molto utilizzata per gestire l’assunzione di sodio nei pazienti ipertesi al fine di controllare la pressione sanguigna e quindi prevenire e gestire meglio la progressione delle patologie cardiovascolari. Infatti, è stato dimostrato che la sensibilità al sale di un soggetto ha basi genetiche, e questo permette di classificare gli individui in gruppi ben definiti, ovvero in individui che sono resistenti al sale e quelli che sono sensibili al sale.

Determinare il fenotipo della sensibilità al sale è importante perché è un fattore di rischio indipendente per la mortalità anche quando si considera la pressione sanguigna. Infatti, gli individui ipertesi e sensibili al sale hanno il peggior rischio di mortalità quando si considera la pressione sanguigna. Valutare gli individui in base alla sensibilità al sale aiuta i medici a scegliere come intervenire per ridurre la pressione sanguigna nei loro pazienti. Per coloro che sono ipertesi ma anche sensibili al sale, una restrizione aggressiva di sodio nella dieta (1500 mg di sodio al giorno) sarebbe efficace, ma per coloro che sono ipertesi e resistenti al sale, una severa restrizione di sodio potrebbe non portare agli stessi risultati. 

Per questo motivo la medicina occidentale che si è basata e si basa ancora sulla teoria del “trial and error” (prova ed errore) non è più razionale già oggi ma molto di più nel prossimo futuro.  Somministrare un determinato farmaco, aspettare di vedere se si ottiene  il risultato desiderato e se è ben tollerato dal paziente, altrimenti si cambia farmaco, è una pratica terapeutica obsoleta che causa al paziente sofferenze evitabili, oltre che elevati costi di gestione al Sistema Sanitario. E’ tempo di introdurre l’obbligo di effettuare analisi preventive in laboratorio sulle caratteristiche biomolecolari e genetiche di un determinato paziente affetto da una determinata malattia. 

In questo modo è possibile individuare le singolarità genotipiche e fenotipiche di ogni paziente e permettere di programmare ed attuare una terapia farmacologica mirata (Medicina di precisione), aumentandone l’efficacia e riducendo disagi, oltre che costi umani e sanitari.

 

 

 L’Automedicazione Pediatrica: una pratica assolutamente da Evitare!

Nell’infanzia, così come negli adulti, è fondamentale conoscere le cause e gli effetti che possono essere causati dal cibo nei riguardi della biodisponibilità dei medicinali al fine di ottenere l’efficacia terapeutica desiderata. Pertanto, è necessario conoscere sempre i principi attivi contenuti nei farmaci le cui biodisponibilità ed efficacia possono essere modificate in presenza di cibo. Per renderci conto del problema basti pensare a una pratica molto comune, ossia quella di mescolare al cibo un farmaco di difficile accettazione da parte del bambino, proprio per ottimizzarne la compliance.

Ebbene, questo, pur facilitando l’accettazione del farmaco, può generare una serie di eventi che possono annullare oppure potenziare l’azione del medicinale con conseguenze facilmente intuibili.

L’ automedicazione nei bambini è piuttosto comune e spesso legata al raggiungimento del sollievo dai sintomi di patologie comune, come raffreddore, febbre e dolore ad esso associato (cure solo palliative). Tuttavia, l’uso eccessivo e indebito di medicinali può portare a gravi conseguenze per il bambino. I dati riportati dal 35° “National Poison Data System of the American Association of Poison Control Centers for children” mostrano che i bambini sotto i cinque anni sono le maggiori vittime di casi d’intossicazione da farmaci per automedicazione (oltre il 35%). L’incertezza riguardo l’efficacia e la sicurezza dei medicinali disponibili per i piccoli pazienti contribuisce a considerare i bambini un gruppo a rischio. Va ricordato che la maggior parte dei medicinali usati nei bambini è stata testata solo negli adulti e molto spesso non in formulazioni o forme farmaceutiche appropriate all’età infantile.

La prescrizione di farmaci per i bambini segue gli stessi principi di sicurezza degli adulti, sebbene vi siano più peculiarità e meno prove scientifiche sistematiche. Fattori come età, altezza, massa corporea e la fase di sviluppo, influenzano la risposta farmacologica. Tra questi, l’età e lo stadio di sviluppo dei bambini, tra l’altro molto variabile e differente in questo segmento di popolazione, interferiscono in modo notevole nella farmacocinetica dei farmaci. Pertanto, variazioni di pH, tempo di svuotamento gastrico, motilità gastrointestinale, attività enzimatica, renale ed epatica, sono i maggiori responsabili della alterata biodisponibilità dei farmaci (Per approfondimenti si consulti il lavoro pubblicato su The AAPS Journal (2020) 22:6, DOI: 10.1208/s12248-019-0380-46).

I rischi intrinseci per i medicinali tendono a essere più rilevanti nei bambini, perché loro hanno caratteristiche che li rendono più vulnerabili rispetto agli adulti, come le differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche, la suscettibilità all’ingestione di farmaci a causa di una difficile comprensione, l’automedicazione praticata dai genitori verso i propri figli, le informazioni limitate sull’uso razionale dei medicinali e, soprattutto, sull’assenza di sviluppo di farmaci specifici.

Per tutti i motivi sopra menzionati, i farmaci da prescrizione per la popolazione pediatrica dovrebbero essere usati in modo razionale e sicuro. Bisogna, inoltre, essere consapevoli del fatto che le interazioni non devono essere viste solo in ambito terapeutico, ossia riduzione dell’effetto di un principio attivo oppure insorgenza di tossicità ma anche in ambito nutrizionale.

Infatti, se è vero che l’azione del farmaco può essere modificata dalla sostanza nutritiva, è anche vero che la biodisponibilità di una sostanza nutritiva introdotta con la dieta, può essere compromessa dal farmaco, favorendo lo sviluppo di altri eventi patologici.

Infatti, i farmaci assunti durante un pasto, per esempio mescolati al cibo per facilitarne l’accettazione da parte del paziente, possono andare incontro a fallimenti terapeutici e causare un effetto tossico sull’organismo del bambino, poiché alcuni alimenti stimolano la produzione di sostanze gastriche che, a loro volta, possono ulteriormente favorire la dissoluzione dei farmaci somministrati incrementando la loro dose abituale. Inoltre, molti alimenti e gli stessi farmaci, possono modificare la motilità gastrica e intestinale. Detto questo, sappiamo bene che la diminuzione della velocità intestinale favorisce il completo assorbimento del farmaco, consentendogli di raggiungere livelli di tossicità per l’uomo. Figuriamoci nel bambino. Inoltre, molti medicinali interferiscono con la quantità di cibo ingerito, alterando l’appetito, facendolo aumentare o ridurre, il che può influire direttamente sullo stato nutrizionale dei pazienti, soprattutto in terapie croniche. Alcuni farmaci possono anche alterare l’assunzione di alimenti a causa della comparsa di nausea e vomito, portando a un processo di repulsione del cibo, danni alla funzione orale dovuti a una persistente diminuzione della sensazione di gusto e perdita totale di gusto, irritazione della mucosa gastrica e alterazione del tratto gastrointestinale. Nell’infanzia, poiché i rapidi tassi di crescita sono accompagnati da marcati cambiamenti nello sviluppo, e nella funzione degli organi, l’incapacità di fornire nutrienti adeguati durante questo ciclo di vita ha maggiori probabilità di causare effetti negativi sia sullo sviluppo del peso, che sulla crescita del bambino. Pertanto, è necessario affermare l’importanza di conoscere le cause e gli effetti delle interazioni causate dalla presenza di cibo sulla biodisponibilità dei farmaci. Questo è fondamentale per ottenere l’efficacia terapeutica desiderata. È sempre importante valutare questa interazione nei bambini, specialmente quando si prova a mascherare gli odori e sapori mescolando il farmaco con il cibo per ottimizzarne l’accettazione.

 Deplezioni di Nutrienti a causa delle Interazioni con Farmaci

A tutti è oramai ben noto che i farmaci sono caratterizzati da effetti collaterali che possono insorgere per svariate cause.  Quello che spesso si sottovaluta è che molti farmaci, soprattutto nel caso in cui vengano usati per una terapia continuativa, causano deplezioni di alcuni nutrienti importanti privando il soggetto di sostanze essenziali e provocando l’insorgenza di nuovi sintomi.

Nella maggior parte dei casi la nuova sintomatologia, associata alla deplezione di questi micronutrienti, è spiegata come parte della malattia di cui soffre il paziente, e pertanto si ricorre alla prescrizione di ulteriori farmaci per dare sollievo al paziente creando così un circolo vizioso che porta a continue deplezioni di sostanze fondamentali per l’organismo.

Questo fenomeno è molto critico specialmente nel caso degli anziani, soggetti all’uso di più farmaci e alle condizioni fisiologiche legate all’età, che possono impedire il riequilibrio dei micronutrienti mediante una corretta alimentazione.

Un regime dietetico adeguato ed equilibrato, infatti, non solo garantisce un apporto di nutrienti ottimali, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico dell’organismo, ma può  svolgere un ruolo protettivo nei confronti di gravi patologie dell’età avanzata.

Tuttavia, in situazioni in cui l’introduzione con la dieta di alcuni nutrienti non è sufficiente a far fronte alla carenza o quando il loro metabolismo è alterato da particolari condizioni fisio-patologiche, può essere utile il ricorso a specifici integratori alimentari.

Nella tabella allegata sono riportate le mancanze nutrizionali che possono nascere in seguito a terapia farmacologica con le più comuni categorie di farmaci utilizzati.

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 Ecco una Tabella Aggiornata delle più comuni Interazioni Farmaco-Cibo!

I farmaci possono trattare e curare molti problemi di salute, sebbene debbano essere presi correttamente per garantire che siano sicuri ed efficaci. La dieta e lo stile di vita possono talvolta avere un impatto significativo sull’attività farmaci e sulla riuscita terapeutica.  L’interazione del cibo e dei suoi nutrienti con un farmaco è una situazione in cui l’attività di un farmaco può risultare modificata, ovvero gli effetti farmacologici possono essere aumentati o diminuiti, oppure si possono generare effetti potenzialmente dannosi per il paziente. Queste interazioni possono verificarsi per uso improprio, accidentale o per mancanza di conoscenza dei principi attivi coinvolti nelle sostanze pertinenti. Oramai è ben noto che a riguardo delle interazioni farmaco-cibo, medici e farmacisti riconoscono che alcuni alimenti e farmaci, se assunti contemporaneamente, possono alterare le proprietà funzionali di un determinato cibo o farmaco. Interazioni clinicamente significative, che comportano potenziali danni al paziente, possono derivare da alterazioni nelle proprietà farmaceutiche, farmacocinetiche o farmacodinamiche di un farmaco. Alcune interazioni possono essere sfruttate, a beneficio dei pazienti, ma più comunemente le interazioni farmacologiche con gli alimenti o i nutrienti del cibo, provocano eventi avversi. Pertanto, è consigliabile che i pazienti seguano le istruzioni del medico e le indicazioni del farmacista per ottenere i massimi benefici riducendo al minimo le interazioni farmaco-cibo e farmaco-nutrienti.

La tabella allegata fornisce informazioni sulle più importanti e clinicamente provate interazioni tra diversi alimenti e farmaci e può risultare di aiuto ai medici e farmacisti nel prescrivere farmaci ed supplementi della dieta con cautela, con il preciso scopo di ottenere il massimo beneficio per il paziente.

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 Microbiota Intestinale e Cancro: una grande opportunità!

I tumori sono malattie croniche comuni in tutto il mondo e causano gravi oneri sanitari. Attualmente sono in corso studi e dibattiti molto intensi per comprendere il ruolo svolto dal microbiota intestinale nella prevenzione e nella gestione dei tumori. Questo significa che vale la pena prestare molta attenzione agli impatti del microbiota intestinale su diversi tumori, come i tumori del colon, del fegato e della mammella. Inoltre, è stato riportato che il microbiota intestinale può influire anche l’efficacia della chemioterapia e dell’immunoterapia. Infatti, il microbioma intestinale influenza l’efficacia del blocco del sistema PD-1 e del CTLA-4, nonché di altri importanti fattori biochimici e cellulari. Tuttavia, molte domande rimangono ancora senza risposta. In primo luogo, è necessario compiere sforzi per comprendere il cambiamento nella composizione del microbiota intestinale (E Elinav, WS Garrett, G Trinchieri, J Wargo – Nature Reviews Cancer, 2019 – doi.org/10.1016/j.jsbmb.2018.07.002).  

Tra tutti i fattori che influenzano il microbiota intestinale, la dieta è la più influente ed è facilmente modificabile a causa della notevole diversità e variabilità alimentare, specialmente nei Paesi occidentali. 

I prebiotici, le fibre alimentari, gli acidi grassi a catena corta e altri composti bioattivi sono tutti importanti componenti dietetici utili per la crescita del microbiota benefico intestinale, il quale può proteggere dai tumori e promuovere la salute umana. I loro effetti benefici possono essere dovuti alla fermentazione delle fibre alimentari, al metabolismo dei fitochimici, alla sintesi di estrogeni e alle interazioni con chemioterapie e immunoterapie (A Elkrief, L Derosa, L Zitvogel, G Kroemer, B Routy – Gut microbes, 2019 – Taylor & Francis – doi.org/10.1080/19490976.2018.1527167).

Attualmente, il più facile accesso ai dati relativi al genoma delle cellule umane e del microbiota ha permesso di fare notevoli progressi nel comprendere le relazioni tra il microbioma e lo sviluppo di particolari patologie definite critiche per l’impatto che hanno nella vita sociale.  Una grande sfida che si pone oggi è rappresentata nello svelare il modo in cui integriamo i dati del microbioma in approcci di medicina di precisione per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di malattie come il cancro. Il tratto gastrointestinale (GI) è il luogo del nostro corpo non solo più densamente popolato di microrganismi, ma anche con la più elevata diversità genomica. Il carcinoma colorettale (CRC) è il terzo tumore più diffuso al mondo ed è in aumento negli individui di età inferiore ai 50 anni. Questa patologia, tra l’altro critica e debilitante, è associata a specifici fattori dietetici e schemi alimentari che influenzano il microbiota intestinale. Pertanto, la natura del microbiota può essere determinante per la prevenzione, la diagnostica e la terapia del CRC grazie anche all’uso di specifici agenti batterici.

La manipolazione del microbiota intestinale nel tentativo di migliorare i risultati clinici rappresenta un altro importante traguardo in oncologia. Attualmente sono allo studio diversi metodi per manipolare in modo benefico il microbiota intestinale, mediante l’uso di prebiotici, probiotici, trapianto di microbiota fecale o mediante l’uso di una capsula carica di batteri. Tutti questi studi sono in fase di sperimentazione e ulteriori studi sono in corso per comprendere la biologia, la farmacocinetica, la durata ottimale di questi potenziali interventi al fine di migliorare i risultati dei pazienti affetti da cancro.

Pertanto, la natura del microbiota può essere determinante per la prevenzione, la diagnostica e la terapia del CRC grazie anche all’uso di specifici agenti batterici. Questa sarà sicuramente l’arma più efficace che oggi disponiamo per affrontare la lotta non solo verso il CRC ma in tutte le altre forme tumorali. E’ proprio il caso di dire che il Microbiota e la sua manipolazione, rappresenta il più valido farmaco del futuro (WS Garrett – Science, 2019 – DOI: 10.1126/science.aaw2367). 

 Potenziali Interazioni Farmaco-Cibo in Pazienti Ospedalizzati in un’Unità di Cardiologia

Il controllo e la mitigazione delle interazioni Farmaco-Cibo sono oggi importanti sfide, sia per tutti gli operatori sanitari che per le stesse strutture sanitarie, pubbliche e private. In questa prospettiva, il verificarsi di una interazione innesca immediatamente farmacovigilanza e vigilanza nutrizionale. Per questo motivo, in ciascuna unità sanitaria ospedaliera dovrebbe essere presente un team multi-professionale che dovrebbe prestare molta attenzione non solo alle possibili interazioni tra i farmaci ma anche tra farmaci ed alimenti. 

I farmaci somministrati per via orale vengono assorbiti principalmente attraverso la mucosa gastrica e l’intestino tenue. Questi sono i siti prioritari per l’insorgenza delle più comuni interazioni tra farmaci ed i componenti della dieta, dal momento che cibo e farmaci subiscono processi di assorbimento molto simili nel nostro organismo.

Le interazioni sono sempre più frequenti proprio perché la maggior parte dei farmaci viene prescritta per via orale, specialmente come solidi, grazie alla facilità d’uso, al basso costo e alla maggiore aderenza al trattamento. Un altro fattore che può influenzare l’assorbimento di farmaci e/ o i componenti della nostra alimentazione è la quantità di farmaci prescritti, ovvero nel caso della politerapia. Ebbene, quando la prescrizione supera tre farmaci di diversa classe, esiste una maggiore possibilità che possano verificarsi interazioni significative. Ciò può comportare un cambiamento nell’efficacia del farmaco ma anche generare carenze nutrizionali per opera del farmaco su uno specifico nutriente. 

Uno studio presentato di recente da una equipe di medici brasiliani (Rev. Nutr. 2019;32:e180147,  http://dx.doi.org/10.1590/1678-9865201932e180147) ha avuto come obiettivo quello di analizzare potenziali interazioni farmaco-alimenti che si possono presentare in seguito a prescrizioni di farmaci a pazienti ricoverati nell’unità di cardiologia di un ospedale universitario di Rio de Janeiro, Brasile. Lo studio è stato effettuato su una coorte di 64 pazienti, di cui 36 uomini e 28 donne, con età compresa tra 61 e gli 80 anni. Di questi candidati pazienti, 43 individui avevano ipertensione, 25 avevano il diabete e 24 avevano cardiopatia come patologie caratterizzanti.

Inoltre, la prescrizione peR ciascun paziente considerato, conteneva un numero medio di 7,5 farmaci, numero che aumenta esponenzialmente le possibilità di una potenziale interazione farmaco-cibo. La prescrizione di farmaci era organizzata in tempi diversi in base al programma che prevedeva la somministrazione dei farmaci via orale tra le 06:00 e le 22:00, con una maggiore concentrazione al mattino presto e alla sera tardi, ovvero in concomitanza della colazione e della cena.

In questo studio sono state individuate ben 252 potenziali interazioni. Le classi di farmaci più ricorrenti nell’unità studiata sono state gli antipertensivi (40%), antiulcera (8%), antilipemici (7%) e antiaggreganti (7%). Di questi, i farmaci con più alto indice di interazione con gli alimenti sono risultati l’ acido acetilsalicilico (13%) e l’omeprazolo (13%). Anche l’atenololo (9%), il carvedilolo (8%), lo spironolattone (8%), l’idroclorotiazide (7%) e il warfarin (7%) si sono distinti tra quelli con potenziali interazioni.

Tra i farmaci, quello con la più alta ricorrenza e probabilità di interazione è risultato proprio l’Acido acetilsalicilico (ASA). Oltre ad essere un FANS, è anche un ben noto agente antipiastrinico che interagisce specificamente con la vitamina C (presente negli agrumi, kiwi e in alcune verdure) riducendone l’assorbimento e aumentandone l’escrezione. Si è registrata anche un’interazione con la vitamina K (presente in vegetali e oli), riducendo le riserve organiche di questo nutriente e causando un aumento dell’escrezione di tiamina, acido folico e amminoacidi. Questi eventi spingono a raccomandare di non mangiare cibi ricchi di vitamina C e K in concomitanza o vicino all’uso di ASA, ma piuttosto dando preferenza all’utilizzo di ASA negli intervalli tra i pasti principali.

L’Omeprazolo, che appartiene alla classe dei farmaci antiulcera, interagisce con la vitamina B12 (presente in quantità elevate nelle proteine ​​animali) ed il ferro (presente nelle proteine ​​animali, leguminose e vegetali), causando esaurimento e conseguentemente un basso assorbimento di questi nutrienti. Pertanto, al fine di evitare tale interazione, è necessario non utilizzare omeprazolo insieme a cibi che sono fonti di vitamina B12 e ferro. Per questo motivo è raccomandabile la loro somministrazione una o due ore dopo la loro ingestione.

Tra i farmaci antipertensivi, si è evidenziato che l’atenololo in generale interagisce con il cibo, poiché può modificare la concentrazione plasmatica del farmaco, diminuendone l’assorbimento. Pertanto, è bene somministrarlo ore dopo i pasti. Infine, lo spironolattone, diuretico risparmiatore di potassio, interagisce con il cibo, favorendo l’assorbimento del farmaco ma ritenzione di potassio. Quindi, si raccomanda di non somministrarlo insieme a cibi ricchi di questo nutriente, come avocado e banana. Il Carvedilolo e idroclorotiazide, d’altra parte, danno origine, per paradosso, ad una proficua interazione. Infatti, il loro uso concomitante è raccomandato poiché il contatto tra il cibo e il carvedilolo riduce il disagio gastrointestinale e l’ipotensione ortostatica causata dal farmaco e, a contatto con l’idroclorotiazide, ne favorisce l’assorbimento.

Infine, il warfarin, che appartiene alla classe degli anticoagulanti, è tra i farmaci della sua categoria più descritto e conosciuto. Raggiungere livelli terapeutici ottimali di questo farmaco è difficile in quanto potrebbe interagire con un’ampia varietà di alimenti. L’interazione più conosciuta è con la vitamina K (presente in verdure come broccoli, cavoli, prezzemolo e spinaci): riduce l’effetto del farmaco, promuovendo la coagulazione del sangue e aumentando i rischi di trombi.

E poi lo studio se da una parte mette ancora in evidenzia l’importanza di conoscere le potenziali interazioni, dall’altra parte fa notare che alcune interazioni potrebbero portare benefici, come quella tra carvedilolo e idroclorotiazide. Infatti, usati in concomitanza con il cibo, riducono il disagio gastrico in quanto il cibo favorisce l’assorbimento del farmaco.

Quindi, attraverso la descrizione e l’identificazione delle potenziali interazioni farmaco-cibo questo studio è stato in grado di evidenziare la necessità di una migliore formazione del team multiprofessionale. Sulla base di una migliore conoscenza dell’argomento, può essere fornita un’assistenza più sicura e più efficiente.

Questo dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi per tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private. Solo in tal modo sarà possibile garantire una maggiore efficacia terapeutica ma soprattutto con ridotti effetti collaterali che molto spesso sono quantificabili non solo in termini economici ma anche in termini di vite umane.

 Le interazioni tra il Microbioma e i Farmaci: un Ruolo Chiave nella Terapia Farmacologica.

In seguito alla somministrazione per via orale, i farmaci subiscono delle modifiche chimiche e i metaboliti risultanti possono avere proprietà funzionali e tossicologiche distinte dal farmaco principale. La maggior parte dei farmaci vengono somministrati per via orale per cui una volta raggiunto l’ambiente intestinale possono incontrare microbi commensali. 

Questi microbi, insieme ad altre entità, costituiscono il nostro microbioma, il quale codifica collettivamente geni presenti più di 150 volte maggiori rispetto al genoma umano. Molti di questi batteri codificano enzimi in grado di metabolizzare i farmaci. Questi effetti metabolici del microbioma sui farmaci non sono relegati solo a livello intestinali ma possono essere molto decisivi anche a livello sistemico. 

Le modifiche chimiche apportate dai microbi intestinali possono avere diversi sviluppi sui farmaci, come ad esempio, la loro attivazione (sulfasalazina), l’inattivazione (digossina) o renderli più tossici (sorivudina/brivudina e irinotecan). 

Per alcuni farmaci, la biotrasformazione microbica è stata attribuita a specifici ceppi batterici e correlati al loro corredo genetico. Ma sebbene per molti uno studio più approfondito è iniziato solo da poco, i risultati preliminari sono già clamorosi.

Gli individui variano ampiamente nelle risposte ai farmaci, che possono essere pericolosi e costosi, non solo per una diversa risposta al trattamento ma anche per gli effetti avversi che possono manifestarsi. Le evidenze crescenti chiamano in causa, per questa variabilità, il microbioma intestinale, sebbene i meccanismi molecolari rimangono in gran parte sconosciuti.

Se poi consideriamo che tutti gli individui presentono un proprio microbioma, molto più specifico delle stesse impronte digitali delle dita di una mano, allora possiamo capire quanto importante possa rappresentare questo problema.

Il 3 Giugno 2019 è stato pubblicato su Nature, un lavoro che può essere considerato come una sorta di pietra miliare nel campo dello studio delle interazioni Farmaco-Microbiota (Nature, Mapping human microbiome drug metabolism by gut bacteria and their genes, di A. Goodman et al. doi:10.1038/s41586-019-1291-3).

Gli Autori si son prefissati di analizzare sistematicamente le interazioni tra microbi e farmaci misurando la capacità di determinati batteri intestinali nel metabolizzare farmaci strutturalmente diversi e identificando i prodotti del gene microbico che metabolizzano i farmaci. 

In questo studio è stata misurata l’abilità di 76 diversi batteri intestinali umani nel metabolizzare 271 farmaci tipicamente usati per via orale, ed è stato scoperto che molti di questi farmaci sono modificati chimicamente dai microbi. Ancora prima di passare per via sistemica!

Lo studio permette di affermare che gli enzimi codificati con il microbioma possono influenzare direttamente e significativamente il metabolismo dei farmaci a livello intestinale e che la variabilità del microbioma presente in ciascun individuo, provoca differenze interpersonali nel metabolismo del farmaco. Tutto questo ha notevoli implicazioni nella terapia medica, poiché può spiegare come mai esiste una diversa variabilità tra individui nella risposta terapeutica ai farmaci, ma anche differenze legate allo sviluppo di reazioni avverse per i diversi metaboliti che si possono formare per azione dei batteri.

L’analisi del nostro microbioma è una tappa fondamentale nel prossimo futuro per capire chi siamo e come approcciare una terapia individuale che possa garantire una maggiore riuscita terapeutica e minori effetti collaterali.

 Gli Agrumi: quando il colpevole non è solo il Pompelmo!

Gli Agrumi: un fattore comune….

Le interazioni farmacologiche avverse dovute al Pompelmo e al succo di Pompelmo sono ben note e per le quali oggi le precauzioni da prendere e le relative avvertenze sono presenti anche nel foglietto informativo dei farmaci. 

Fino ad oggi, però, problemi simili non sono stati segnalati per le clementine e mandarini, e i dati disponibili sono scarsi, nonostante la discendenza genetica. Ma recentemente sono stati ottenuti risultati molto interessanti.

Nel lavoro pubblicato su European Journal of Pharmaceutical Sciences (Johanna Weiss e coll., Vol. 133, 15 May 2019, Pages 54-58. DOI: https://doi.org/10.1016/j.ejps.2019.03.013e lavori correlati http://dx.doi.org/10.1016/j.ejps.2016.11.021) sono stati esaminati in vitro gli effetti del succo di clementina sul metabolismo e sui trasportatori di farmaci, e confrontati con gli effetti del succo di mandarino e pompelmo. Ebbene, tutti i succhi degli agrumi considerati hanno indotto profondamente diversi trasportatori di farmaci e i relativi enzimi responsabili del loro metabolismo, sebbene gli effetti del succo di pompelmo restano più pronunciati (ad esempio, l’induzione di mRNA per il CYP3A4 da parte di succo di pompelmo e succo di clementina, sono rispettivamente di 156 e 34 volte). 

Questi dati indicano che le clementine ed il succo di clementine e, in misura minore, anche il succo di mandarino, possono portare ad interazioni cibo-farmaco simile a quelle già note per il succo di pompelmo, sebbene in misura differente e meno pronunciate. Pertanto, il succo di clementina simile al succo di pompelmo può generare potenziali interazioni farmacologiche con molti farmaci portando ad effetti collaterali avversi, ad es. attraverso sovraesposizione ai substrati del CYP3A4.

Tuttavia, il grado di interazione con clementine può notevolmente dipende dalla quantità introdotta con la dieta, dal tipo di coltivazione, ed il periodo di raccolta del prodotto ed è ovviamente differente dal potenziale interazione dei mandarini strettamente correlati. 

 L’Importanza delle Tempistiche di Somministrazione dei Farmaci Antitumorali

Abbiamo più volte parlato dell’importanza di conoscere le modalità di somministrazione dei farmaci antitumorali per via orale in relazione ad un determinato regime dietetico. Ancora più importante è conoscere le tempistiche di somministrazione del farmaco.

Attualmente, per molti farmaci antitumorali orali approvati dalla FDA, si raccomanda la loro somministrazione almeno 1 ora prima o 2 ore dopo un pasto, secondo le informazioni di prescrizione. Tuttavia, l’effetto a riguardo alle modalità di tempo di somministrazione di un agente antitumorale orale rispetto all’assunzione di cibo rimane poco chiaro. Come dimostrato dall’indagine effettuata negli Stati Uniti dal 2010 al 2016 analizzando la bibliografica di approfonditi studi clinici e l’analisi dell’etichettatura per farmaci antitumorali orali approvati dalla Food and Drug Administration (FDA), le informazioni relative ai tempi di dosaggio per diversi farmaci antitumorali si sono rivelate non ottimali, portando a una biodisponibilità subottimale del farmaco e, quindi, a concentrazioni plasmatiche ridotte del farmaco stesso (J Oncol Pharm Practice 0(0) 1–5, 2018, DOI: 10.1177/1078155217752535). 

Questo risultato suggerisce la necessità di ricalibrare regolarmente le informazioni contenute nel foglietto illustrativo a riguardo ai tempi di dosaggio dei farmaci antitumorali orali al fine di minimizzare i rischi di compromissione dell’efficacia o di tossicità del farmaco.

Ben 22 dei 44 farmaci oncologici per via orale attualmente in uso negli USA (50%), sono stati approvati per essere amministrati senza restrizioni a riguardo l’assunzione di cibo. L’effetto del tempo di dosaggio in termini pre-prandiale rispetto a quello postprandiale sulla biodisponibilità del farmaco è stato esaminato in solo 2 farmaci (9%), cioè per ibrutinib e axitinib. Per 14 farmaci (32%) per i quali la prescrizione indica da somministrare a stomaco vuoto, in realtà in solo 5 di essi (36%) sono stati condotti studi sulla tempistica alimentare cioè per erlotinib, abiraterone, nilotinib, lapatinib, e sonidegib. Per gli altri 9 non sono stati mai effettuati studi in merito alla loro tempistica di assunzione rispetto al cibo.

Tanto è vero che per i farmaci erlotinib e nilotinib, i picchi di concentrazioni plasmatiche (AUC) sono aumentati del 33% e del 44%, rispettivamente, quando sono stati somministrati 2 ore dopo il cibo rispetto a quando somministrati almeno 1 ora prima del pasto. Addirittura, il valore AUC per i due farmaci era leggermente superiore del 15% e 33% già prima delle 2 ore dopo lo stato prandiale rispetto allo stato di digiuno pre-prandiale di 1 h. 

Questi risultati evidenziano come sia importante conoscere le istruzioni ottimali relative ai tempi di somministrazione dei farmaci antitumorali per migliorare l’equilibrio dei benefici contro rischi di trattamento antitumorale e migliorare la compliance del paziente, entrambi fattori cruciali per la pratica clinica oncologica.

Sfortunatamente, come mostrato dal sondaggio della letteratura e analisi delle informazioni rilasciate per i farmaci, le informazioni sull’etichettatura relative tempi di dosaggio per diversi farmaci antitumorali, come lapatinib, ibrutinib e abiraterone, potrebbero non essere ottimali, portando a una ridotta biodisponibilità con valori plasmatici dei farmaci non in regola con quelli terapeutici. 

Infine, va anche evidenziato come la composizione del cibo influenza notevolmente la biodisponibilità di un farmaco, per cui occorrono ulteriori studi che valutino l’impatto della composizione del cibo sulla natura delle interazioni farmaco-cibo.

Per questo motivo, gli oncologi e tutti i professionisti del settore sanitario dovrebbero essere consapevoli del potenziale risultato clinico non ottimale in caso di differenti tempi di dosaggio di un farmaco antitumorale con riferimento al cibo e alla sua composizione.

 Le Interazioni Farmaco-Micronutrienti: il ruolo del Farmacista

Il termine micronutriente è utilizzato per contrassegnare le vitamine, i sali minerali e gli oligoelementi essenziali della dieta per sostenere praticamente tutti le normali funzionalità  cellulari e molecolari. È ampiamente riconosciuto che la mancanza a carico di uno specifico micronutriente rappresenta un problema rilevante di salute pubblica, soprattutto nella popolazione anziana.

L’aumento della popolazione anziana è associato sempre più con un numero crescente di pazienti con più patologie, che soffrono di malattie associate all’alimentazione e di solito dipendono da una farmacoterapia complessa. Ad esempio uno studio effettuato in Scozia ha evidenziato una prevalenza complessiva di multimorbilità in pazienti anziani del 23,2%. Una recente analisi trasversale in Germania con più di 10.000 partecipanti di età superiore ai 50 anni, ha rivelato che più del 95% dei pazienti con osteoporosi presentano almeno una malattia coesistente. La prevalenza della multimorbidità nella popolazione aumenta con l’età e porta inevitabilmente alla polifarmacoterapia. La polifarmacoterapia è una delle maggiori preoccupazioni negli anziani, tanto che si stima che sempre più pazienti (più del 55%) assumono più farmaci su base giornaliera. Questa condizione, tuttavia, aumenta il rischio di reazioni avverse non soltanto di natura farmaco-farmaco ma anche di tipo farmaco-micronutriente.

Le vitamine e altri micronutrienti hanno un’importanza considerevole nella prevenzione e nel trattamento delle malattie legate all’alimentazione.

Le interazioni tra farmaci e micronutrienti hanno ricevuto fino ad oggi poca attenzione nel mondo medico e farmaceutico, sebbene siano molti i casi clinici riportati in letteratura.  Poiché sono utilizzati sempre più farmaci nel trattamento dei pazienti anziani, questa problematica è sempre più rilevante. Per questo motivo, bisogna prestare maggiore attenzione sulle potenziali interazioni farmaco-micronutrienti. Occorre sensibilizzare medici e farmacisti sul possibile ruolo dei farmaci nelle carenze di micronutrienti. In questo contesto, il farmacista, in quanto esperto di farmaci, assume un ruolo determinante.

Come nessun altro professionista del settore sanitario, il farmacista è particolarmente predestinato e chiamato a svolgere questo ruolo. In particolare, pazienti in terapia con famaci quali inibitori della pompa protonica, diuretici e le statine dovrebbero essere monitorati per possibili carenze di micronutrienti indotte.

Una recente review (Uwe Gröber, Joachim Schmidt & Klaus Kisters (2018): Important drug micronutrient interactions: A selection for clinical practice, Critical Reviews in Food Science and Nutrition, DOI: 10.1080/10408398.2018.1522613) tratta questa problematica in modo molto approfondito e può rappresentare per medici e farmacisti un punto di riferimento per limitare l’insorgenza di carenze di micronutrienti, sia negli anziani che nei pazienti in regime di polifarmacoterapia.

 FuturoRemoto 2018. RI-GENERAZIONI – 8-11 Novembre Città della Scienza

Domani inizia l’evento e io con i miei colleghi del Dipartimento di Farmacia siamo li ad aspettarvi!!

Una giornata ricca di eventi stimolanti per tutti!!

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10-12: Ri-Educhiamo ad un buon uso dei Farmaci

Download la presentazione!!!

 Le interazioni di Succhi di Frutta diversi dal Pompelmo con Farmaci: Aspetti da non sottovalutare

 Non tutte le interazioni farmaco-cibo provocano reazioni avverse classificate come deleterie per il paziente o per la riuscita della terapia farmacologica in atto. Anzi, alcune interazioni possono migliorare la biodisponibilità di un farmaco incrementando la sua concentrazione ematica al fine di realizzare un beneficio terapeutico.

E’ il caso, per esempio, delle interazioni tra succo d’arancia e fumarato ferroso, succo di limone con il radiofarmaco 99mTc-tetrofosmina, succo di melagrana con ferro durante emodialisi, succo di mirtillo nella tripla terapia per eradicare l’ Helicobacter pylori, succo di mirtillo in presenza di etanercept (usato nel trattamento di terapie autoimmunitarie), succo di lime in terapia con antimalarici e, infine, succo di erba di grano (una delle ultime ritrovate in termini di succhi con effetti benefici) associato nelle chemioterapie.

Le potenziali interazioni avverse con esito negativo sono, invece, quelle che generano una diminuzione della biodisponibilità del farmaco.

Quelle più comunemente note a livello clinico, sono il succo di mela con fexofenadina (antistaminico molto noto), atenololo e aliskiren; succo d’arancia con aliskiren, atenololo, celiprololo, montelukast, fluorochinoloni e alendronati; succo di pomelo (Citrus maxima) con il sildenafil; succo d’uva con la ciclosporina.

Altre interazioni generano un incremento di biodisponibilità con più elevate concentrazioni ematiche del farmaco. Queste possono dare origine a molte reazioni avverse. Tra l più comuni dal punto di vista clinico, possiamo ricordare  il succo d’arancia di Siviglia con la felodipina, il succo di pomelo con la ciclosporina, e con antiacidi contenenti alluminio.

A differenza del succo di pompelmo ricco di furanocumarina che può generare primariamente le interazioni farmacologiche mediante una forte inibizione del citocromo P450 3A4 e della P-glicoproteina e quindi causare esiti anche mortali in seguito alla  co-ingestione con alcuni farmaci, gli altri succhi di frutta non danno origine a interazioni pericolose, nonostante casi sporadici. 

In ogni caso possono inficiare la riuscita terapeutica in modo serio. La gravità e la natura di un’interazione tra succo di frutta e farmaco è relazionata al volume di succo di frutta, alla varietà di frutta, tipo di frutta, tempo tra l’assunzione di cibo e farmaco, polimorfismo genetico negli enzimi, trasportatori e variabili antropometriche. I farmacisti e gli operatori sanitari dovrebbero monitorare adeguatamente e istruire i pazienti sulle potenziali interazioni tra succhi e farmaci per minimizzare il verificarsi delle reazioni avverse. Molta attenzione dovrebbe essere rivolta soprattutto verso gli adolescenti e agli anziani che assumono farmaci in presenza di succhi di frutta o che consumano frutta fresca durante un trattamento farmacologico, specialmente in presenza di farmaci antistaminici per il trattamento di allergie.

Per un approfondimento sulle potenziali interazioni succhi di frutta con farmaci si rimanda al lavoro pubblicato su Journal of Food and Drug Analysis, 26 (2018), SS61-SS71.

 L’Antiistaminico Fexallegra (Fexofenadina) e le Interazioni con i Succhi di Frutta

La Fexofenadina, in vendita in Italia col nome di Fexallegra (Allegra in USA) è un antistaminico non sedativo disponibile sia su prescrizione che come OTC senza prescrizione medica. La Fexofenadina non è altro che il metabolita attivo della Terfenadina, non più usata per diversi seri effetti collaterali. Da quando è diventato disponibile da banco, oltre ad essere approvato per i bambini (dai 12 anni in poi), questo farmaco è diventato probabilmente ancora più popolare per tutte quelle persone affette dai sintomi allergici.

Proprio per la sua elevata popolarità è importante che le persone sappiano che l’assunzione di Fexallegra insieme a vari succhi di frutta, in particolare succo di arancia e pompelmo, riduce il suo assorbimento per più di un terzo, rendendo quindi il medicinale meno efficace.

La fexofenadina viene assorbita a livello intestinale grazie a un sistema di trasporto presente su cellule che rivestono l’intestino tenue e denominato OATP, ossia trasporto polipeptidico di anioni organici. Il sistema di trasporto OATP aiuta diverse sostanze chimiche (e diversi farmaci) ad attraversare le membrane biologiche che sono altrimenti impermeabili ad essi. I succhi di frutta, come il succo di pompelmo, succo d’arancia e succo di mela contengono composti che inibiscono le OATP e quindi limitano l’assorbimento di Fexofenadina a livello intestinale.

Sfortunatamente, non ci vuole molto succo di frutta perché questa inibizione si verifichi. Infatti, già il consumo di bevande analcoliche contenenti il 5% di succo può causare l’inibizione delle OATP. Ovviamente, il risultato finale dipende anche dalla quantità di succo di frutta utilizzato. Si stima che l’assunzione di fexofenadina con un regolare succo di frutta, può ridurre l’assorbimento di quasi il 40%, rendendo il medicinale molto meno efficace per il trattamento dei sintomi allergici.

Poiché i componenti attivi del succo di frutta che inibiscono l’assorbimento del farmaco sono presenti anche nel frutto intero, è consigliabile che anche le arance intere, il pompelmo o le mele vengano limitate durante il periodo di trattamento del farmaco.

Pertanto, è importante per una persona che assume Fexallegra, limiti l’uso di frutta fresca o succhi di frutta nell’arco temporale prossimo all’assunzione del farmaco (2 ore prima o 2 ore dopo).

 COME ASSUMERE I FARMACI ONCOLOGICI PER VIA ORALE: PRE- O POST-PRANDIALE? QUESTO E’ IL DILEMMA!

Attualmente la maggior parte dei farmaci antitumorali orali vengono somministrati senza tenere troppo in considerazioni le informazioni prescrittive a riguardo in concomitanza dell’assunzione di cibo. Infatti, anche nel caso di farmaci per i quali viene indicato di essere assunti senza cibo, è pratica comune di raccomandare la loro assunzione almeno 1 ora prima o 2 ore dopo i pasti principali. Nondimeno, non è chiaro se differenti tempi di somministrazione di un agente antitumorale orale, riguardo all’assunzione di cibo, portino a differenti profili di efficacia terapeutica o di sicurezza.

Recentemente, un importante studio clinico ha dimostrato che la somministrazione post-prandiale del Lapatinib, noto farmaco usato per il carcinoma mammario, è in grado di fornire concentrazioni plasmatiche sostanzialmente più elevate rispetto alla somministrazione pre-prandiale.  Questo risultato alimenta la preoccupazione che il tempo di dosaggio rispetto al cibo possa influenzare notevolmente la biodisponibilità e le concentrazioni plasmatiche di uno specifico agente antitumorale e, successivamente, portare a risultati di trattamento non ottimali dal punto di vista terapeutico.

In un lavoro pubblicato su Journal Oncology Pharmacy Practice (2018, DOI: 10.1177/1078155217752535) è riportato un interessante studio condotto su un’indagine bibliografica e sull’etichettatura per i farmaci antitumorali orali approvati dalla Food and Drug Administration(FDA) da gennaio 2010 a dicembre 2016. In questo studio sono stati analizzati ben 44 farmaci antitumorali orali approvati durante il periodo considerato.

Sfortunatamente, come dimostrato dall’indagine bibliografica e dall’analisi dell’etichettatura riportato in questo studio,  le informazioni sull’etichettatura relative al tempo di dosaggio per i diversi farmaci antitumorali considerati, come ad esempio il LapatinibIbrutinib e Abiraterone (carcinoma prostatico), potrebbero non essere ottimali, portando a una biodisponibilità e concentrazioni plasmatiche di farmaco al di sotto di quelle terapeutiche. Questo risultato dimostra che chi prescrive i farmaci antitumorali dovrebbe ricalibrare regolarmente le informazioni relative al tempo di somministrazione e al dosaggio dei farmaci antitumorali orali, al fine di minimizzare i rischi di un’efficacia compromessa o di tossicità non intenzionale associate a concentrazioni plasmatiche non ottimali ai fini terapeutici. Inoltre, quando si osserva un notevole effetto d’interferenza del cibo verso la biodisponibilità di un determinato farmaco, è necessario effettuare ulteriori studi di interazione tra cibo e farmaci per valutare meglio l’impatto che questi possono avere in diversi momenti prima e dopo un pasto per assicurare un dosaggio ottimale. Inoltre, gli oncologi dovrebbero essere consapevoli del potenziale risultato clinico subottimale quando sono implementati differenti tempi di dosaggio con riferimento al cibo. Si comprende, pertanto, che adeguate istruzioni a riguardo i tempi di dosaggio in relazione al cibo potrebbero migliorare l’equilibrio dei benefici contro i rischi del trattamento antitumorale e la compliance del paziente, che sono cruciali per la pratica clinica oncologica.

 Gli Effetti del Licopene sul CYP450 e sulla Glicoproteina P

Il licopene è un carotenoide contenuto prevalentemente nel pomodoro (Solanum lycopersicum) e suoi derivati da cui prende anche il nome e nei quali rappresenta il 60% del contenuto totale in carotenoidi. La quantità di licopene è comunque influenzata dal livello di maturazione del pomodoro, ed è stato calcolato che in pomodori rossi e maturi si può stimare fino ad un contenuto di 50 mg/kg di licopene, mentre la concentrazione scende a 5 mg/kg nelle varietà gialle. Altre fonti naturali di licopene sono meloni, il guava ed il pompelmo rosa. La concentrazione di licopene nel siero umano è strettamente correlata all’assunzione prolungata degli alimenti che lo contengono mentre la sua biodisponibilità sembra essere più elevata nei prodotti trattati termicamente (ad esempio salse di pomodoro) rispetto ai prodotti crudi.

Recentemente è stato pubblicato un lavoro in cui è riportato lo studio relativo all’effetto del Licopene sugli isoenzimi del citocromo P450 (CYP) e la glicoproteina P (P-gp).  Nel presente studio pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Food Sciences and Nutrition (pubblicato online l’11 gennaio 2018), è stata valutata l’attività del licopene sugli enzimi CYP3A4, CYP2C19, CYP2D6 e CYP2E1, e sulla glicoproteina P.

Questo studio ha messo in evidenza che non vi è azione inibitoria da parte del Licopene sugli enzimi CYP3A4, CYP2C19, CYP2D6 fino ad una dose di 100 mM, mentre ha mostrato esercitare azione inibitoria sull’isoenzima CYP2E1. Inoltre, non è stata osservata alcuna azione inibitoria sulla glicoproteina P.

In virtù di questo studio dovrebbe esserci una particolare attenzione quando si assume il licopene con l’alimentazione per periodo prolungati e somministrato con farmaci metabolizzati dal CYP2E1 come ad esempio il Chlorzoxazone, convertito a 6-idrossi-Chlorzoxazone.

Il Chlorzoxazone è un miorilassante ad azione centrale usato per trattare lo spasmo muscolare e il conseguente dolore agendo sul midollo spinale abbassando i riflessi. Viene venduto anche in combinazione con l’acetaminofene (paracetamolo), metabolizzato anch’esso dallo stesso enzima. Altri farmaci metabolizzati da questo enzima sono il Paracetamolo, Zoplicone, Teofillina, Aspartame e l’Alcool Etilico. Farmaci induttori di questo enzima sono, invece, il Clofibrato, Fenelzina, Isoniazide, Rifampicina, l’acido Ursodeossicolico.

La conoscenza di questi fattori può limitare la ridotta o non riuscita terapia farmacologica e l’l’incremento di effetti avversi con l’uso di particolari farmaci.

 Il ruolo della Glicoproteina P (P-gp) nello Sviluppo della Multiresistenza nella Terapia Antitumorale

Una delle principali cause di fallimento nella chemioterapia antitumorale è dovuta alla comparsa di processi di multiresistenza (MDR) delle cellule tumorali al farmaco. La glicoproteina P (P-gp), una pompa di efflusso coinvolta nei processi di entrata/uscita di componenti dall’ambiente cellulare, è responsabile anche dell’entrata di un farmaco all’interno della cellula. Il suo ruolo è stato ampiamente studiato per la sua associazione con la nascita della MDR dovuta ad un processo di sovraespressione della P-gp nelle cellule tumorali. Da diversi anni si stanno studiando a livello clinico, inibitori o modulatori della P-gp nella speranza di aggirare l’MDR, e incrementare il successo terapeutico. Purtroppo, ad oggi sono stati ottenuti solo limitati successi. Per questo motivo, attualmente vengono attivamente perseguite strategie alternative, come la modifica strutturale di farmaci esistenti, lo sviluppo di nuovi farmaci o la combinazione con i farmaci antitumorali di nuovi agenti per eludere l’efflusso dipendente dalla P-gp. Molti di questi studi, sebbene siano di notevole importanza, sono stati intrapresi principalmente senza una conoscenza preliminare delle modalità con cui i farmaci interagiscono con la P-gp a livello molecolare.

Proprio negli ultimi giorni del 2017 è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Medicinal Chemistry un interessante lavoro dove vengono discusi i progressi e le sfide che impediscono lo sviluppo di farmaci per inibire o eludere la P-gp (Inhibit or Evade Multidrug Resistance P-Glycoprotein in Cancer Treatment. Deepali Waghray, D.;  Zhang, Q. Publication Date (Web): December 18, 2017 (Perspective).

Il superamento di questa sfida rappresenterà sicuramente una pietra miliare nella terapia antitumorale convenzionale. Ma nell’attesa che si riesca a raggiungere questo traguardo, per i pazienti in terapia antitumorale bisogna valutare attentamente la nutrizione per impedire che si verificano processi di attivazione o inattivazione della pompa P-pg per non inficiare la riuscita terapeutica.

 Rischio di Epatotossicità dei Supplementi della Dieta

Durante l’annuale meeting AASLD (Società americana per lo studio delle malattie epatiche) “The Liver Meeting 2017” che si è tenuto a Washington dal 20-24 Ottobre 2017, e al quale hanno partecipato quasi 9500 specialisti da tutto il mondo, è stato presentato uno studio in cui si evidenzia come gran parte degli integratori contenenti un dichiarato principio attivo naturale, in realtà contengono ingredienti che non compaiono in etichetta. In base ai dati forniti dal DILIN (Drug Induced Liver Injury Network) l’istituto americano formato da sei centri clinici in tutto il paese, le analisi chimiche effettuate su molti prodotti non hanno trovato il contenuto dichiarato in etichetta.  Più precisamente, in più della metà dei campioni forniti dai pazienti registrati al DILIN così come la gran parte dei prodotti utilizzati da chi pratica il bodybuilding, presentano etichette inaccurate o prive di altri potenziali principi attivi. In ogni caso molti di questi Supplementi della Dieta contengono ingredienti epatotossici non segnalati in etichetta, i quali in seguito ad un uso sregolato possono creare gravi danni epatici. Se si considera che quasi il 50 per cento degli americani li consuma ritenendoli sicuri e utili per la salute o per migliorare le prestazioni sportive, sessuali, muscolari, e per dimagrire, si comprende allora come grave possa essere questo problema.

Gli agenti principalmente implicati includono gli steroidi anabolizzanti, estratto di tè verde e integratori nutrizionali multi-ingredienti. Gli steroidi anabolizzanti, commercializzati come supplementi nella pratica del bodybuilding, possono indurre una prolungata lesione epatica colestatica. L’estratto di tè verde, utilizzato per bruciare grassi e quindi nel ridurre peso corporeo, e molti altri prodotti, al contrario, tendono a causare una lesione acuta tipica nelle patologie associate all’epatite.

Attualmente, però, la maggior parte dei casi di danni epatica è dovuta agli integratori nutrizionali multi-ingredienti, e il componente responsabile della tossicità è di solito sconosciuta o può essere solo sospettato.

A questo importante evento scientifico il dott. Victor J. Navarro, epatologo dell’Einstein Medical Center di Philadelphia, che da anni studia questo fenomeno ha presentato dati molto allarmanti. Basti pensare che dall’analisi chimica di molti prodotti è stato possibile individuare la presenza di arsenico, cadmio, mercurio, piombo e antimonio in percentuali molto elevate fino al 56%. Purtroppo questa situazione è dovuto alla mancanza di controlli adeguati su prodotti che non sono definiti farmaci, e quindi non sono soggetti alle dure prove di sicurezza ed efficacia alle quali sono sottoposti i farmaci, ma possono avere effetti molto gravi, con danni epatici tali da condurre anche al trapianto d’organo. Negli USA è stato creato un sito governativo denominato Livertox, (https://livertox.nih.gov/), che raccoglie le segnalazioni di medici e pazienti, e che indica possibili criticità a livello epatico di supplementi della dieta a base di erbe o presunti tali.

Un’analisi più dettagliata dal punto di vista scientifico è stata pubblicata dallo stesso Dr Navarro proprio in questi giorni sulla prestigiosa rivista Hepatology (Vo. 65, pag. 363-373, 2017). E’ possibile visionare il lavoro scientifico al seguente link: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/hep.28813/abstract

 L’Associazione di Alimenti contenenti Flavonoidi con le Statine nella terapia dell’Ipercolesterolemia


E’ ben noto che l’uso delle Statine, abbinate ad un appropriato regime dietetico, rappresentano oggi la soluzione più razionale nella gestione dell’ipercolesterolemia. Sebbene siano ben note clinicamente, le interazioni farmaco-farmaco sul possibile effetto negativo delle statine, riducendone la biodisponibilità, le interazioni farmaco-cibo relative a questi farmaci restano ancora un aspetto comunemente trascurato. In particolare, i flavonoidi potrebbero interferire con la biodisponibilità delle statine attraverso diversi meccanismi, come ad esempio a livello competitivo con il citocromo P450 (CYP), le varie esterasi e trasportatori di membrana (la glicoproteina-P e tutte le proteine trasportatrici coinvolte nei processi di farmaco-resistenza). Poiché i trasportatori di membrana sono caratterizzati da una bassa specificità di substrato, gli alimenti ricchi di flavonoidi potrebbero interferire con la biodisponibilità di tutte le statine e quindi modificare la bontà del regime terapeutico. D’altra parte i flavonoidi sono anche in grado di modulare l’espressione genica di enzimi e di trasportatori, e pertanto un loro uso a lungo termine potrebbe comportare un aumento della clearance delle statine.
Negli esseri umani, le principali interazioni farmaco-cibo sono state clinicamente osservate a riguardo del succo di pompelmo abbinato alle statine, entrambi substrati per il sistema Glicoproteina-P/CYP3A4, sebbene altri succhi di frutta possono influenzare la biodisponibilità anche di quelle statine che non sono metabolizzate dal CYP. Pertanto, è bene valutare il contributo dei flavonoidi associati alle statine poiché se è vero che la loro utilità come agenti naturali nella gestione dell’ipercolesterolemia, associati alle statine potrebbero risultare inadeguate con effetti negativi nella risoluzione terapeutica. Inoltre, non bisogna nemmeno trascurare e sottovalutare gli eventuali effetti collaterali tossici conseguenti al diverso metabolizzazione dei farmaci.
Pertanto, l’anamnesi dei pazienti deve includere le informazioni dettagliate sulle loro abitudini alimentari, suggerendo il monitoraggio terapeutico e l’annotazione di ogni possibile caso di interazione tra la statina prescritta e l’alimentazione corrente del paziente (Current Drug Metabolism, Vol. 18, 12 Issues, 2017).

 I Salicilati contenuti negli Alimenti: Considerazioni Spesso Dimenticate.

SalicilatiMolti cibi contengono salicilati i quali possono mimare gli effetti antiaggregante piastrinico del principio attivo dell’Aspirina, ossia l’acido acetilsalicilico. Ma possono generare anche consistenti reazioni allergiche in soggetti sensibili a tale componente. Le quantità di salicilati che possiamo assumere con la dieta dipendono soprattutto da quanto cibo che li contiene assumiamo giornalmente. La maggior parte della frutta ne contiene solo una piccola quantità, nell’ordine di 0,5 – 1 mg/Kg riferito alla massa fresca, mentre frutti essiccati, ma soprattutto le spezie ne contengono quantità più elevate, fino a 30 mg/Kg, con un impatto notevole sulla quantità totale assunta. E’ ovvio che in questo specifico caso le quantità di salicilati assunte possono incrementare notevolmente gli effetti dell’acido acetilsalicilico assunto come antiaggregante piastrinico. Per questo motivo, pazienti che assumono la “baby aspirina” dovrebbero essere avvisati nel limitare l’uso di particolari alimenti ricchi di salicilati, e in particolare spezie secche o fresche. La limitazione nella dieta di certi alimenti va considerata anche per soggetti allergici ai salicilati. E’ stato dimostrato che la quantità di salicilati che possono scatenare reazioni allergiche in soggetti ipersensibili è di 2,6 mg al giorno, quantità contenute in circa 200 g di fragole (1,4 mg di salicilati per 100 g). Per l’acido acetilsalicilico bastano quantità anche inferiori: 0,8 mg al giorno! (Journal of Allergy Clinical Immunology Vol 89 N 1 Part 2 p.347).

Ci si rende conto, che per soggetti non sensibili ai salicilati, è possibile limitare l’uso dell’acido acetilsalicilico adoperando una dieta bilanciata con ingredienti ricchi di acido salicilico e salicilati, limitando la dose della Baby Aspirina, molto più soggetta non solo a dare origine a reazioni allergiche ma anche quelli tipici dell’acido acetilsalicilico.

E poi non dimentichiamoci che è stato dimostrato che l’acido acetilsalicilico ed i salicilati, assunti per 5 anni di fila, sono in grado di ridurre fino al 40% l’insorgenza di cancro al colon.

Ecco allora come sia importante riconsiderare una dieta a base di salicilati per chi necessita di particolari e specifici trattamenti, non idonea tuttavia a soggetti sensibili a tali sostanze.

Di seguito alcuni alimenti che contengono quantità significative di salicilati:

SPEZIE: Origano, Menta, Cannella, Ginger, Paprica, Curcumina, Timo, Peperoncino, Curry in polvere, Aneto, Spezie tipiche cucina Indiana (cucina Asiatica).

FRUTTA: Frutta secca in genere, e quantità più significative in Uva passa, Datteri, Mandorla, Albicocche, Mirtilli, Mirtillo rosso americano, Fragole, Uva, Ciliegie, Agrumi, Kiwi, Liquirizia (radice). Quantità note di rilievo anche in alcuni tipi di Miele, come quello di Castagno e di Agrumi. Quantità consistenti anche negli Arachidi.

VERDURE: Fave, Spinaci, Cetriolo, Pomodoro, Peperoni, Radicchio, Cicoria, Funghi.

BEVANDE: Tè nero, Tè verde, Succo di Pompelmo, Succhi di Agrumi, molti vini rossi.

 Interazioni Farmaco-Cibo: Una Pratica Tabella Aggiornata

Eccovi una pratica Tabella dove sono riportati i casi più comuni ed accertati di interazioni Farmaco-Cibo. Per ciascun farmaco è riportata la sua rilevanza clinica e le modalità d’uso in regime dietetico. Le conseguenze attribuite alle interazioni Farmaco-Cibo riportate sono quelle ben acquisite clinicamente ed accettate dalla comunità scientifica.

 

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 I Principali Farmaci Inibitori o Induttori degli Isoenzimi del CYP450: Scarica la Tabella!!

Logo-NewHo creato una Tabella in formato PDF in cui ho inserito i più importanti Farmaci utilizzati correntemente in clinica e di cui si conosce molto bene il loro profilo di attività sulle varie forma enzimatiche del citocromo CYP450.

E’ interessante notare come in una stessa classe di farmaci, spesso possiamo trovare agenti terapeutici che agiscono in modo differente sui vari isoenzimi. Questo vuol dire che è possibile cambiare il tipo di farmaco con un altro della stessa classe per evitare interazioni farmaco-farmaco o farmaco-cibo potenzialmente pericolose. Analizzando i dati riportati in questa tabella ci si rende conto che con un po’ di attenzione nel buon uso dei farmaci, si potrebbero evitare problemi che molto spesso hanno conseguenze gravi sulla sorte dei pazienti. Prendete, per esempio, l’uso corrente degli inibitori della pompa protonica molto spesso associati senza reale necessità ad altri farmaci che per essere efficaci necessitano di enzimi inibiti proprio da quest’ultimi…

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 Il Succo di Melograno non Influenza l’Attività Terapeutica della Simvastatina in Soggetti Sani.

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Il succo di Melograno (Punica granatum L.) è molto usato nella Medicina Popolare per differenti scopi terapeutici. A sua volta il Melograno è una fonte ricca di fibre, pectina, zuccheri e diversi tannini. Inoltre, contiene flavonoidi e antocianine con elevato potere antiossidante risultando pertanto molto utile in malattie legate all’invecchiamento. Recentemente si è molto diffuso il suo uso nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella chemoprevenzione tumorale.

Precedentemente, studi effettuati in vitro ed in vivo hanno riportato risultati controversi per il potenziale effetto inibitorio del melograno sull’attività del citocromo P450 (CYP 3A). Dall’altro lato, altri studi clinici hanno riportato che il melograno ed il suo succo non hanno effetto sulla somministrazione orale e per via intravenosa del Midazolam, un altro farmaco metabolizzato dal citocromo CYP 3A.

La Simvastatina è ossidativamente biotrasformata dal CYP3A ad acido e quest’ultimo è un potente attivo metabolita che a sua volta è metabolizzato dal CY3A4/5. Per porre fine a quest’aspetto controverso, è stato effettuato di recente uno studio di farmacocinetica orale in 12 soggetti maschi sani utilizzando una dose di 40 mg di simvastatina e comparando i risultato con il succo di pompelmo (European Journal of Drug Metabolism and Pharmacokinetics, February 2015). I soggetti maschi sani hanno assunto regolarmente succo di melograno o di pompelmo per tre volte al giorno e per 3 giorni di seguito (900 ml/giorno) e dopo il terzo giorno è stato eseguito lo studio di farmacocinetica. Nei soggetti sani che hanno assunto succo di pompelmo, la media Cmax e AUC ematica della simvastatina sono risultati aumentati significativamente rispetto al periodo di controllo, mentre non sono risultati significativamente differenti negli stessi soggetti sani quando hanno assunto succo di melograno. Pertanto, questo studio ha dimostrato che le concentrazioni di Simvastatina e del suo metabolita aumentano in modo significativo solo dopo l’assunzione di succo di pompelmo, ma non con il succo di melograno. Questi risultati suggeriscono che il succo di melograno influisce poco sulla disposizione di simvastatina nell’uomo. Il succo di melograno non sembra, pertanto, avere un potenziale effetto inibitorio clinicamente rilevante sull’attività del CYP3A4.

 Rischi legati all’uso del Clopidogrel (Plavix) con gli Inibitori della Pompa Protonica

ticlopidine_clopidogrel_moaL’approvazione di Plavix (Clopidogrel) nel 1997 ha rappresentato una significativa opzione terapeutica per la riduzione di eventi aterotrombotici in pazienti affetti da recente ictus, infarto del miocardio o da malattia arteriosa periferica. Ciò ha provocato una rapida e diffusa utilizzazione di questo farmaco, anche se alcune delle caratteristiche farmacologiche del Clopidogrel non sono state pienamente comprese.

In particolare, il percorso di bioattivazione del clopidogrel non era noto al momento dell’ approvazione del farmaco. Tuttavia, al momento si sapeva che presumibilmente la sua attività era mediata grazie all’attivazione via epatica dal citocromo P450 (CYP450), che genera il metabolita attivo responsabile della sua attività antiaggregante piastrinica legandosi in modo irreversibile al recettore P2Y12, uno dei due recettori dell’ADP presente sulle piastrine umane. Successivamente, l’isoenzima CYP2C19 è stato identificato come il fattore determinante nella formazione del metabolita attivo di clopidogrel. Infatti, da studi effettuati in vivo, è stato evidenziato un ruolo critico dell’enzima CYP2C19 nel processo di bioattivazione del clopidogrel, per cui vi è una chiara necessità di valutare le potenziali interazioni farmacologiche tra clopidogrel e i modulatori dell’enzima CYP2C19.

Per questo motivo è molto importante conoscere le adeguate istruzioni per l’uso di clopidogrel in situazioni in cui i pazienti sono in concomitanza trattamento con farmaci che inibiscono l’enzima CYP2C19, come ad esempio inibitori della pompa protonica. E tra queste interazioni, sicuramente la più preoccupante ed interessante da esaminare riguarda proprio l’uso concomitante del clopidogrel con gli inibitori della pompa protonica.

Oggi uno dei protocolli più comuni a livello ospedaliero consiste nell’abbinare un inibitore della pompa protonica alla terapia prescritta, ma quasi sempre si ignora quali pericoli possono coesistere se si abbina ad esso un farmaco che necessita di essere metabolizzato dal CYP2C19 per poter essere attivo.

A titolo di esempio, basta ricordare che gli inibitori della pompa protonica sono comunemente co-prescritti con il clopidogrel per ridurre al minimo l’attività antipiastrinica correlata al trattamento di sanguinamento a livello gastrointestinale, creando non pochi problemi. Infatti, la concomitante somministrazione di clopidogrel con una dose elevata di omeprazolo (80 mg) può creare una riduzione del metabolita attivo del clopidogrel del 40% rispetto al clopidogrel somministrato da solo. Addirittura questo effetto perdura anche se la somministrazione del clopidogrel è stato effettuata dopo 12 ore dalla somministrazione dell’omeprazolo. E’ ragionevole aspettarsi una riduzione dell’ inibizione piastrinica a causa di una ridotta presenza del metabolita attivo del clopidogrel in presenza di altri farmaci che sono inibitori dell’enzima CYP2C19.

E visto che oggi sono entrati in uso clinico molti nuovi farmaci ad attività antiaggregante, alcuni dei quali necessitano di essere attivati per essere efficaci, è doveroso non sottovalutare le possibili interazioni critiche con altri farmaci che possono ostacolare questi processi di metabolizzazione. Sottovalutare questi eventi significa esporre il paziente a rischi molto seri con la possibilità di far nascere eventi di natura irreversibile.

 Happy New Year!!! I Wish You a Wonderful 2015!!

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 Gli Ingredienti dei Succhi di Frutta possono risultare critici per l’attività Terapeutica di Farmaci Antitumorali dati per via Orale.

 E’ ben noto che il succo di pompelmo (GFJ) può aumentare l’esposizione di molti composti terapeutici che sono substrati dell’enzima CYP3A4 con elevato metabolismo di primo passaggio, attraverso l’inibizione irreversibile a livello intestinale dell’enzima in questione. Al contrario, altri succhi di frutta, come il succo di arancia, succo di mela, e altre bevande, come ad esempio quelle a base di tè verde,   non influenzano la farmacocinetica di substrati del CYP3A4, indicando che il loro coinvolgimento sull’attività del CYP3A4 è minima. Ma possono avere un effetto ancora più importante e critico a livello terapeutico andando ad interagire con le proteine trasportatrici di membrana.

Sebbene il succo di pompelmo possa aumentare significativamente l’esposizione metabolica di un numero di farmaci che sono substrati del CYP3A4, di recente sta emergendo l’interesse l’influenza del succo di pompelmo nel causare l’effetto opposto, ossia una significativa riduzione metabolica di quei farmaci che subiscono un metabolismo minimo. Recenti studi hanno portato alla scoperta di un nuovo meccanismo di interazione farmaco-cibo che coinvolge l’inibizione di un altro sistema di trasporto indicato come OATP, organic anion-transporting polypeptides, ovvero un importante trasportatore noto per agevolare l’afflusso di molti altri composti. E’ interessante osservare che, oltre che per il succo di pompelmo, sono state riportate significative interazioni con il trasportatore OATP anche con succo di arancia, succo di mela e con tè verde. In aggiunta alle interazioni con gli enzimi CYP3A4 e OATP, è stato di recente valutato l’effetto di questi succhi di frutta anche con l’attività della più importante proteina di trasporto a livello intestinale, ossia la glicoproteina-P (P-gp). Questi studi hanno però rivelato che queste bevande hanno un solo moderato o minimo effetto sull’attività della P-gp, con nessuna rilevanza clinica per questo tipo di interazioni.

Ebbene, queste proteine di trasporto possono risultare importanti nel definire la farmaco-cinetica di importanti agenti terapeutici, come i farmaci antitumorali, noti per il loro limitato risultato terapeutico e gli effetti collaterali connessi. Tra questi, certamente oggi i più importanti farmaci antitumorali sono gli inibitori della Proteina Chinasi (TKI), piccole molecole organiche di sintesi, altamente innovativi e abbastanza specifici verso alcuni tumori.

Negli ultimi 15 anni, quasi 20 nuovi farmaci appartenenti alla classe degli inibitori della Proteina Chinasi sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA). A differenza dagli agenti chemioterapici convenzionali, che di solito sono caratterizzati da notevoli effetti collaterali, l’uso dei TKIs è molto più cancro-specifica e quindi hanno un più favorevole profilo di sicurezza. E proprio grazie al loro profilo di tossicità bassa queste molecole possono essere assunte per via orale su base giornaliera.

Ovviamente, sebbene l’uso quotidiano degli TKIs per via orale offra una maggiore comodità per i pazienti rispetto agli agenti citotossici convenzionali, che di solito si somministrano per via endovenosa, questo può comportare un rischio maggiore di interazioni farmaco-farmaco e di interazioni farmaco-cibo. Ora gran parte degli inibitori TKI sono substrati del CYP3A e significative interazioni farmaco-farmaco sono state riportate quando sono stati somministrati contemporaneamente con forti inibitori del CYP3A (come ketoconazolo e itraconazolo), o potenti induttori del CYP3A (ad esempio rifampicina e carbamazepina).

Oltre all’enzima CYP3A, recentemente è stato dimostrato che la maggior parte dei TKI sono doppi substrati di due importanti pompe trasportatrici di efflusso, ossia la P-gp e Breast Cancer Resistance Protein (BCRP), entrambe espresse in molti tessuti normali e svolgono ruoli essenziali nei processi di assorbimento, distribuzione, ed escrezione del farmaco. In un recente studio apparso in letteratura (Journal of Pharmaceutical Sciences, accepted 6 November 2014), i ricercatori hanno scelto come farmaco modello della classe TKI, il Dasatinib, approvato come agente terapeutico nella leucemia mieloide cronica, e ne hanno valutato gli effetti modulatori degli ingredienti principali contenuti nei succhi di frutta e tè verde sulla farmacocinetica del farmaco.                                                     In questo studio è stato dimostrato che i componenti del succo di pompelmo, ma soprattutto quello di arancia, possono significativamente incrementare l’assorbimento del farmaco Dasatinib per effetto diretto sulla P-gp e sulla BCRP. Le conseguenze possono essere significative dal punto di vista clinico poiché una maggiore quantità di farmaco passa a livello ematico con serie conseguenze per gli effetti collaterali. Questo studio ha messo in evidenza che gli stessi effetti si possono riprodurre anche usando frutti interi anziché succhi di frutta. Infatti, occorre una quantità minima di ingrediente attivo contenuto nel frutto per innescare le interazioni.

In ogni caso, ancora una volta e in tempi sempre più frequenti, studi clinici mettono in guardia verso i possibili eventi avversi che nascono da interazioni farmaco-farmaco e farmaco-cibo non ben valutate, anche se purtroppo molto spesso perché ancora non completamente documentate.

Questo è un motivo in più per poter prendere seriamente in considerazione questi studi clinici e proporli a tutti gli operatori sanitari onde evitare errori terapeutici ma soprattutto per finalizzare un miglior risultato terapeutico.

 Antiaggreganti Piastrinici e Componenti Bioattivi Presenti negli Alimenti Funzionali

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È ben nota la correlazione tra dieta e salute e come questo equilibrio sia oggi un fattore di estrema importanza soprattutto per le patologie cardiovascolari. Addirittura il cibo e la corretta alimentazioni offrono una grande possibilità per mantenere se non addirittura migliorare la salute. In precedenza abbiamo riportato su questo blog l’importanza dei cosiddetti “Cibi Funzionali” ossia alimenti che contengono componenti in grado di avere effetti benefici sulla salute umana. Ovviamente, quando assunto con la dieta in quantità adeguate ma soprattutto in modo costante, gli alimenti funzionali possono aiutare a diminuire il rischio di patologie a carico del sistema cardiovascolare attraverso diversi meccanismi, come l’abbassamento dei lipidi nel sangue, migliorando la compliance arteriosa, riducendo l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità​​, riducendo la formazione di placche, catturando i radicali liberi e inibendo anche l’aggregazione piastrinica.

Proprio quest’ultimo fattore ha generato recentemente un grande interesse verso la ricerca di composti bioattivi naturali (Natural Bioactive Compounds) che possono contribuire alla inibizione piastrinica o alla sua modulazione. È interessante notare che proprio negli ultimi anni una grande quantità di questi composti bioattivi naturali presenti in alimenti funzionali hanno mostrato possedere una buona attività antiaggregante piastrinica. Per questo motivo negli ultimi tempi è cresciuta notevolmente l’ interesse dei consumatori verso i composti bioattivi naturali, come ingredienti funzionali nella dieta, a causa proprio della loro vari effetti benefici sulla salute.

Studi recenti hanno dimostrato l’attività antiaggregante piastrinica di alcuni frutti (uva rossa, fragole, kiwi e ananas) e ortaggi (aglio, cipolla, cipolle verdi, meloni e pomodori). E’ stato clinicamente dimostrato che, il consumo di una dieta contenente il 30% verdure verdi e gialle si traduce in una notevole inibizione nella progressione di processi arteriosclerotici. In questo contesto, l’assunzione di due o tre kiwi al giorno per 28 giorni può ridurre l’aggregazione piastrinica indotta da collagene e ADP. Nel contempo, il preparato grezzo di aglio e alcuni dei suoi derivati sono ampiamente riconosciuti come agenti antipiastrinici che possono contribuire alla prevenzione delle patologie cardiovascolari, grazie alla presenza di allicina e dei tiosulfinati.

Pertanto, questi componenti bioattivi presenti negli alimenti funzionali con attività antiaggregante piastrinica, possono anche esercitare effetti pleiotropici e sinergici quando assunti in concomitanza di farmaci utilizzati per le patologie cardiovascolari. Per questo motivo è bene conoscere ed informare il paziente dei potenziali fattori legati a certi alimenti per evitare effetti imprevedibili. Inoltre, è bene educare il paziente, senza allarmismi, di avvisare il medico o il farmacista circa i cambiamenti di abitudine della propria dieta durante l’arco dei 365 giorni, visto che le stagioni portano cambiamenti della disponibilità di frutta e degli ortaggi. Per maggiori dettagli: Journal of Functional Foods, 6, 73-81, 2014.

Di seguito viene riportata una tabella riassuntiva di composti bioattivi isolati da Piante Officinali e da frutta e verdura con potenziale attività modulante antiaggregante piastrinica.

Tabella-Alimenti e Cibi Funzionali

 Una dieta chetogenica in aiuto al trattamento dell’Epilessia

EpilessiaIl concetto di usare il cibo come coadiuvante il trattamento farmacologico di una malattia non è nuova; addirittura ci sono evidenze che questo tipo di approccio esisteva già prima dei greci. Per restare in un periodo a noi più vicino, già negli anni ’30, quando parlare di farmaci era qualcosa di estremamente innovativo, i medici hanno introdotto l’uso di prescrivere una dieta di base chetogenica per ridurre attacchi epilettici, soprattutto nei bambini. Questa pratica è nata dalla constatazione che il digiuno riduce gli attacchi epilettici poichè il fegato metabolizza (specialmente nei soggetti diabetici) gli acidi grassi in corpi chetonici chiamati β-idrossibutirrato, acido acetacetico e acetone, i quali vengono utilizzati come fonte di energia quando i livelli di glucosio sono bassi. Nessuno sa esattamente ancora oggi il perché, ma ci sono alcune evidenze cliniche che suggeriscono che i corpi chetonici possano proteggere contro l’epilessia. A basso contenuto di carboidrati, una dieta ricca di grassi crea uno stato metabolico noto col nome di chetosi, dovuto appunto alla formazione di corpi chetonici da cui la dieta prende il nome. La dieta chetogenica è però caduta in disgrazia dal 1938, a seguito della disponibilità di un farmaco chiamato Fenitoina che controlla l’attività elettrica del cervello e aiuta a ridurre la frequenza delle crisi epilettiche. Tuttavia, circa il 30% delle epilessie non rispondono ai farmaci, e questo ha spinto la ricerca verso trattamenti alternativi. Infatti, alcuni bambini continuano ad avere crisi epilettiche nonostante il trattamento con il farmaco antiepilettico mentre si osserva un miglioramento se si passa ad un trattamento con dieta chetogenica.

Uno dei primi trattamenti chetogenici è stato sviluppato da Dr. Russell Wilder, un esperto di malattie metaboliche presso la Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, il quale nel 1921 ha ideato la dieta chetogenica classica. Questa dieta si compone di un rapporto in peso di 3:1 o 4:1 di grasso rispetto ad una combinazione di proteine ​​e carboidrati. Ciò significa che circa il 90% delle calorie giornaliere provengono da grassi, rispetto al meno del 35% raccomandato dal Dipartimento di Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti. Una dieta chetogenica può causare effetti collaterali a breve termine, come costipazione e nausea. Effetti collaterali a lungo termine comprendono rallentato la crescita nei bambini e aumento del rischio di fratture ossee e calcoli renali. Il neurologo pediatrico Eric Kossoff del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, nel Maryland, è uno dei principali promotori della dieta chetonica e dice che di pazienti che non rispondono ad un farmaco antiepilettico (ad esempio Fenitoina), il 30% risponderà al farmaco successivo ma più spesso si arriva al 50% se si adotta una dieta chetonica. Addirittura è più efficace quando i farmaci più comuni hanno fallito nella terapia. Il problema cruciale con una dieta chetogenica è la sua scarsa appetibilità – a causa della presenza di burro in quasi ogni pasto, ma senza pane – che è forse per questo che viene utilizzato soprattutto per i bambini piuttosto che adulti. In ogni caso si son succeduti numerosi studi e diverse varianze di dieta chetoniche.

Una di queste parte da una scoperta fatta nel 1960, quando i ricercatori hanno individuato che i trigliceridi a catena media (MCT), che si trovano in olio di cocco, se sono presenti in una dieta chetogenica, possono fornire maggiori effetti rispetto all’uso di grassi alimentari normali, che sono principalmente trigliceridi a catena lunga. La dieta MCT ideata dal neurologo Peter Huttenlocher, Università di Chicago, è restrittiva ma incorpora più carboidrati e proteine​​, perché gli MCT vengono assorbiti più facilmente dal corpo rispetto ai di trigliceridi a catena lunga. Studi clinici hanno dimostrato che la dieta MCT per essere efficace in un rapporto 4:1 grasso/carboidrati nella dieta chetogenica classica.

Nel 2005, si è sperimentato anche una dieta con basso indice glicemico (LGIT), nata da alcune osservazioni condotte su pazienti che seguono una dieta chetogenica, i quali avevano livelli di glucosio estremamente stabili. Oltre ad un alto contenuto di grassi, una dieta tipo LGIT include solo carboidrati con un indice glicemico inferiore a 50, il che significa che questi alimenti non tendono ad aumentare i livelli di glucosio nel sangue. La dieta offre più varietà poiché è permesso l’uso di alimenti a basso indice glicemico come ad esempio i cereali integrali, la verdura e i frutti di bosco.

Nonostante il successo di queste diete, il meccanismo rimane in gran parte un mistero.

In ogni caso il successo della dieta MCT suggerisce che è possibile usufruire di un maggior controllo delle crisi anche quando i farmaci non sono molto efficaci. Se ancora oggi non c’è accordo su come una dieta chetogenica possa aiutare a controllare le crisi epilettiche, è anche vero che è probabile che non ci sia un singolo meccanismo coinvolto, e che può lavorare addirittura in modo diverso nei bambini.

Beh, a questo punto non ci rimane che constatare come Ippocrate, il padre della medicina, abbia notevolmente ragione ed anticipato i tempi affermando che:

 “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”.

 Per maggiori informazioni: https://www.facebook.com/MayoClinic oppure http://bit.ly/1waUBmS

 Il ruolo del Resveratrolo nella terapia con la Ciclosporina

Resveratrolo Il resveratrolo è un fenolo non flavonoide che si trova principalmente nella buccia dell’acino d’uva, che per la sua provata azione  antiossidante, le viene attribuito una probabile azione antitumorale, antiinfiammatoria e fluidificazione del sangue, che può  limitare l’insorgenza di placche trombotiche. Al giorno d’oggi, il resveratrolo è estensivamente usato come un integratore alimentare ed è disponibile sul mercato in diverse formulazioni e preparati, anche a scopi cosmetologici. La ciclosporina è un farmaco con attività immunosoppressiva, e viene utilizzata per modulare la risposta immunitaria dell’organismo, soprattutto in pazienti trapiantati, per bloccare il rigetto di trapianto allogenico. La ciclosporina è un peptide di origine naturale che non ha alcuna attività antibiotica ma risulta essere un potente agente immunosoppressore. Per tale motivo da tempo viene prescritta a pazienti in caso di trapianto per ridurre i fenomeni di rigetto.

La dose giornaliera da assumere viene stabilita in base ai livelli di ciclosporina presenti nel sangue e che vengono dosati periodicamente dai medici specialisti che seguono i pazienti. Questo perché la biodisponibilità di questo farmaco è molto variabile e non sempre ottimale. I livelli di ciclosporina “ottimali” variano in rapporto alle condizioni del paziente ed al tempo trascorso dal trapianto. L’intestino di ogni singolo paziente, inoltre, assorbe la ciclosporina in maniera diversa. Dosi uguali possono dare livelli di ciclosporina nel sangue diversi da paziente a paziente. É quindi inutile paragonare quanta ciclosporina si assume giornalmente con quanta ne assumono altri pazienti, poiché ogni singola dose é “personalizzata”.

Ci si rende conto, allora, quanto sia importante l’alimentazione per non alterare ulteriormente questo delicato fattore.

Ebbene, in un recente studio pubblicato su Food Chemistry (Shih-Ying Yang, Shan-Yuan Tsai, Yu-Chi Hou, Pei-Dawn Lee Chao, Department of Medical Research, China Medical University Hospital, Taichung, Taiwan, ROC) condotto su ratti a quali, in un gruppo è stato somministrato per via orale la Ciclosporina da sola e in un altro gruppo, invece, co-somministrato con resveratrolo, è stato dimostrato che in presenza di quantità significative di resveratrolo, la concentrazione ematica di Ciclosporina è diminuita in modo elevata fino al 65%. Ciò è dovuto al fatto che essendo il resveratrolo un induttore della P-gp e del CYP3A4 provoca una riduzione dell’assorbimento della Ciclosporina per l’azione mirata sulla Glicoproteina-P che espelle il farmaco dagli enterociti, e un incremento del suo metabolismo per azione diretta del CYP3A4.

In conclusione, il resveratrolo assunto come integratore alimentare è seriamente in grado di diminuire l’assorbimento di della Ciclosporina attraverso l’ induzione dei due fattori chiave alla base delle interazioni farmaco-cibo, ossia la P-gp e la CYP3A.

Pertanto, i pazienti trapiantati in trattamento con Ciclosporina dovrebbero essere messi in guardia contro l’uso di preparati contenenti quantità concentrate di principio attivo a base di resveratrolo, per il serio rischio di aumentare fenomeni di rigetto, con compromissione dei risultati sperati e spreco dei costi sostenuti a livello sanitario.

 Finalmente anche in Italia qualcosa si muove: l’AIFA pubblica le linee Guide dell’Agenzia Europea del Farmaco e della FDA

Aifa FDA

Finalmente anche in Italia qualcosa si sta muovendo a riguardo delle così temute interazioni tra farmaci e alimenti, sempre più studiate e monitorate per le negative conseguenze correlate. Infatti, l’AIFA l’Agenzia Italia del Farmaco ha pubblicato in questi giorni due linee guida molto importanti, una dell’Agenzia Europea dei Medicinali e l’altra della FDA. In realtà la prima, ossia quella dell’Agenzia Europea dei Medicinali è stata redatta nel 2013 e successivamente aggiornata e “delinea un approccio globale alla valutazione del potenziale di interazione di un farmaco durante il suo sviluppo e forniscono un indirizzo per garantire che il medico prescrittore riceva informazioni chiare sul potenziale di interazione e consigli pratici su come gestirle”. La seconda Guida, quella della FDA è in realtà un po’ datata poiché è del 2012, ma successivamente sul sito FDA sono state pubblicati degli aggiornamenti molto interessanti. Le guide proposte sono solo una sintesi, riferite alle principali interazioni di alimenti e bevande con i più comuni farmaci impiegati per il trattamento di allergie, artriti, dolore e febbre, ansia, disturbi cardiovascolari, malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) e ulcere, ipotiroidismo, infezioni, disturbi psichiatrici e osteoporosi. Indica inoltre quali alimenti e/o bevande andrebbero evitati o ridotti e quali farmaci vanno assunti a stomaco pieno o vuoto. Maggiori indicazioni possono essere trovate al seguente link del sito AIFA:

http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/interazioni-farmaci-alimenti-favorire-l’azione-terapeutica-ed-evitare-combinazioni-potenzial

In ogni modo, per rendere queste Guida molto più utili e usufruibili anche dal cittadino, non sarebbe meglio poterle riproporle in italiano?? E’ davvero così difficile ed oneroso rendere le cose più semplici per evitare che problemi più gravi possono presentarsi per l’uso improprio dei farmaci con gli alimenti??

E’ possibile deferire e scaricare gratuitamente in PDF le linee Guida ai seguenti link: Download PDF: http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2012/07/WC500129606.pdf http://www.fda.gov/downloads/drugs/resourcesforyou/consumers/buyingusingmedicinesafely/ensuringsafeuseofmedicine/generaluseofmedicine/ucm229033.pdf

 Gli Inibitori delle Proteasi nel Trattamento dell’Epatite C e le Interazioni con gli Alimenti

Epatite C I farmaci Boceprevir e il Telaprevir, noti come inibitori della proteasi (PI), somministrati in combinazione con interferone   pegilato, hanno sicuramente rivoluzionato il trattamento dell’Epatite C di tipo-1. Tuttavia, questi due farmaci inducono interazioni farmacologiche molto significative, e la loro rilevanza clinica è molto spesso difficile da prevedere. Sia il Boceprevir che il Telaprevir sono substrati e potenti inibitori del citocromo P450 3A4 e del più importante trasportatore di membrana, la glicoproteina-P (P-gp). Essi inducono sovradosaggio, ma a volte possono ridurre in modo consistente l’effetto di altri farmaci inducendo altri citocromi. I problemi di sovradosaggio o di riduzione di dosaggio colpisce prevalentemente i farmaci con un basso indice terapeutico, come gli immunosoppressori o gli antiretrovirali. Inoltre, questi farmaci possono innescare un prolungamento dell’intervallo cardiaco QT, il che significa che i medici dovrebbero gestire tale rischio controllando attentamente fattori come i livelli di potassio/magnesio oppure evitare altri l’uso di altri farmaci che possono prolungare l’intervallo QT. Da quanto detto si capisce che la loro capacità di inibire il citocromo P450 3A4, agire sulla Glicoproteina-P e prolungare l’intervallo QT possono avere conseguenze cliniche molto significative. Per questo motivo la gestione della terapia farmacologica dell’epatite C è complessa. Ecco alcuni dati su cui è bene riflettere prima del loro uso.

Il Boceprevir raggiunge la Cmax in circa 2,5 ore, e la sua emivita plasmatica è di 3 ore. E’ stato dimostrato che il cibo aumenta significativamente la sua biodisponibilità, aumentando la AUC dal 40 al 60% rispetto ad una somministrazione a digiuno. Di conseguenza, si raccomanda che il Boceprevir venga assunto con il cibo. Il Cmax del Telaprevir, invece, è di 4-5 ore ed è stato riportato che l’AUC di tale farmaco è risultato aumentato del 20% nei soggetti che aveva consumato una colazione ricca di grassi (928 kcal, 56 g di grassi) rispetto ad una colazione regolare (533 kcal, 21 g di grassi). Ma il valore AUC è risultato diminuito da 73, 39 e il 26% rispettivamente, quando somministrato a digiuno, dopo il consumo di una prima colazione povera di calorie e di grassi (249 kcal/3.6 g di grassi) e, infine, con una colazione ricca di proteine (260 kcal/9 g di grassi). Di conseguenza, si raccomanda che il Telaprevir venga somministrato con il cibo che contiene alcuni grassi che permettono di migliorare il suo assorbimento, ma senza esagerare con un pasto ad alto contenuto di grassi. Ma questo non è tutto a proposito di questi due farmaci. Infatti, alcuni autori hanno riportato che il Boceprevir agisce come un potente inibitore della P-gp. Sicchè, la co-somministrazione di un PI con un farmaco a sua volta substrato per la P-gp blocca l’azione della P-gp e aumenta così l’assorbimento del substrato. Ad esempio, è stato clinicamente dimostrato che la co-somministrazione di Telaprevir con la Digossina provoca un aumento dell’AUC della digossina del 85%, suggerendo la necessità di ridurre la dose di digossina per evitare un suo sovradosaggio. La co-somministrazione con il  Boceprevir ha avuto un minore impatto in quanto l’AUC di digossina è aumentato solo relativamente del 19%. In entrambi i casi, i pazienti che assumono entrambi i farmaci devono essere necessariamente monitorati per evitare complicanze cliniche.

Ovviamente ci siamo limitati a riportare solo le interazioni con il CYP3A4 e la P-gp ma entrambi i farmaci avrebbero effetti anche sugli altri trasportatori di membrana. Sicuramente ci sono tutte le ragioni per stare particolarmente attenti a valutare bene qualsiasi contemporanea somministrazione di farmaci in presenza di Boceprevir e Telaprevir. Sebbene sia possibile reperire molte informazioni a riguardo al sito web www.hep-druginteractions.org, il clinico dovrebbero scegliere il giusto trattamento in collaborazione con il farmacista nel tentativo di minimizzare potenziali interazioni e fornire alternative terapeutiche se il paziente sviluppa interazioni clinicamente significative.

Le informazioni qui riportate sono state estrapolate dal recente lavoro pubblicato su Eur. J. Clin. Pharmacol. 70:775-789, 2014.

 Ecco cosa significa “Professionalità e Competenza”. Da noi solo un miraggio…..!!

UCM399972Spesso venire a conoscenza di argomenti o tematiche inerenti la nostra professione e conoscenza culturale non sempre ci dà la possibilità di comprendere la loro reale importanza e ricaduta a livello socio-sanitario. Se poi consideriamo che viviamo in un momento in cui bisogna accrescere la professionalità, trovarne altre o, ancora meglio, riqualificare quelle già esistenti allora il caso di seguito descritto sicuramente mette in evidenzia l’importanza della tematica trattata su questo blog e spiega il perché bisogna puntare su di essa.
Ebbene, l’esempio eclatante su cui riflettere e confrontarci seriamente (considerando anche quanto sia grande il gup che ci separi dagli altri) viene dallo Stato Americano del Montana, USA, il quale è stato tra i primi a prendere in seria considerazione la necessità di introdurre nel proprio sistema sanitario un controllo severo e multidisciplinare sull’uso dei farmaci in un corretto sistema dietetico. Il Montana State Hospital ha introdotto recentemente (14 Maggio 2014) una  normativa che obbliga ad attivare a livello sanitario una procedura con lo scopo di informare i pazienti sulle reali interazioni farmaco-alimenti e di quelle che richiedono tassativamente delle modificazioni dietetiche (Procedure to inform patients of drug-food interactions which require dietary modifications). Link: http://www.dphhs.mt.gov/msh/volumei/dietaryservices/fooddruginteractions.pdf. In questo programma è necessaria la stretta collaborazione tra il Farmacista, il Medico e addirittura il Medico Dietologo che deve rimodulare il regime alimentare del paziente qualora ci sia una potenziale interazione Farmaco-Cibo. In questo contesto ci si rende conto che la collaborazione tra le diverse professionalità è un requisito indispensabile per poter predisporre questa misura e che tale condizione richiede anche che le figure professionali siano in grado di svolgere il loro ruolo avendo ricevuto un adeguato background formativo.

Per questo motivo sono stati istituiti anche Corsi Post-Universitari o addirittura Corsi di Laurea triennali per formare figure professionali in grado di soddisfare le competenze richieste. E per avere un esempio di quello che riporto non bisogna rimanere nello Stato del Montana ma basta anche spostarsi in Europa o meglio, in Spagna dove all’Università di Barcellona e all’Università di Santiago sono stati istituiti un Corso Post-Laurea di Interazioni Farmaco-Cibo della durata di 1 anno (Link del Coeso a Santiago: https://www.usc.es/es/departamentos/fatecfg/materia.html?materia=69042).

Da quanto detto ci si rende conto che il gup da recuperare rispetto agli altri allo stato attuale è già abissale. E’ compito delle Istituzioni e di chi le presiede,  promuovere seriamente la formazione dei professionisti sanitari per il corretto uso dei Farmaci ma soprattutto per migliorare e ottimizzare il sistema sanitario e la salute dei pazienti.

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 La Melatonina: da Integratore alimentare a…….Farmaco!

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Forse non tutti sanno che la Melatonina è da poco entrata di diritto nella categoria dei Farmaci sebbene fino a qualche mese fa era venduta liberamente come integratore in diversi preparati la cui quantità non era ben sempre nota.

Caso strano dai inizio gennaio 2014, sono state ritirate dal mercato le confezioni di Melatonina contenente 3 mg di prodotto, vendute liberamente sotto forma di integratore alimentare. Oggi preparati a base di Melatonina sono reperibili solo in Farmacia in confezioni con pillole da 2 mg. Ovviamente adesso non solo serve una prescrizione del medico essendo un farmaco a tutti gli effetti, ma costa anche molto di più rispetto alle precedenti confezioni vendute come semplice integratore. La melatonina è utilizzato per facilitare il sonno e poiché è un prodotto naturale si è sempre creduto che non fosse pericolosa. Tanto è vero, fino a poco tempo fa, molti integratori in vendita contenevano quantitativi di Melatonina anche di 3 mg, ossia superiori a quelli consentiti oggi. In altri era addirittura ignota la quantità esatta, ritenendo erroneamente che un prodotto naturale non fosse pericoloso!

Purtroppo, molti non considerano che la melatonina è un ormone come gli estrogeni, come il testosterone e tutti gli altri. Eppure questo ormone è stato usato liberamente come supplemento di melatonina endogena per problemi di insonnia, o per regolare i fenomeni legati al Jet-lag. Essendo un ormone bisogna fare attenzione a non somministrare questo prodotto alle donne che fanno uso di anticongezionali ormonali e donne in gravidanza. Inoltre, è preferibile non prescrivere supplementi di Melatonina a pazienti in terapia oncologica visto che sono state riportate delle potenziali e nocive interazioni.

La melatonina può, inoltre, interagire negativamente con vari farmaci, tra cui gli antipsicotici e gli antidepressivi, farmaci steroidei, farmaci anti-infiammatori, e antiipertensivi (Atenololo). Infine, la melatonina può anche interagire con la nicotina contenuta nel tabacco, la caffeina, e con molti alimenti.

Queste interazioni nascono dal fatto che la melatonina viene metabolizzata nel fegato attraverso il sistema del citocromo P450, principalmente (ma non esclusivamente) da parte del CYP2C19 e dalla famiglia CYP1A (in particolare CYP1A2) ed eventualmente anche dal CYP2C9. In particolare, recenti studi sembrano indicare che la Melatonina sia in grado di inibire il CYP1A2 ed indurre il CYP3A. Quindi, possono insorgere potenziali interazioni se la Melatonina viene utilizzata con farmaci o con agenti che sono substrati, induttori o inibitori di questi isoenzimi.

Per concludere, è bene ricordare che alcuni alimenti, come l’avena, il mais, il riso, lo zenzero, i pomodori, le banane e l’orzo, contengono piccole quantità di Melatonina e pertanto se si assume la Melatonina con questi alimenti il suo contenuto totale nel corpo potrebbe risultare in eccesso.

Ma soprattutto non sottovalutare l’abuso, ovvero l’uso non giustificato, di Integratori quando non si conoscono ancora bene i risvolti negativi ad essi associati.

 Prestare Attenzione nell’uso dei Nuovi Anticoagulanti per via Orale

blood_clot_platelets_200x151 Una nota informativa dell’AIFA del 11/09/2013 a riguardo della sicurezza dei farmaci anticoagulanti orali afferma che:

 “Eliquis (apixaban), Pradaxa (dabigatran etexilato) e Xarelto (rivaroxaban) (e in ultimo Edoxaban, ndr), sono                  anticoagulanti orali che hanno recentemente ricevuto l’autorizzazione per indicazioni per le quali vengono usati  da decenni gli antagonisti della vitamina K (warfarin, fenprocumone e acenocumarolo) o le eparine a basso peso molecolare (EBPM). A differenza degli antagonisti della vitamina K, questi nuovi medicinali non richiedono il monitoraggio di routine dell’attività  anticoagulante.  Tuttavia, negli studi clinici e nell’esperienza post-marketing è stato dimostrato che gli eventi di  sanguinamento maggiore, inclusi eventi fatali, non sono limitati  al solo uso degli antagonisti della vitamina K/EBPM  ma sono rischi significativi  anche per i nuovi anticoagulanti orali”.

Cerchiamo allora di capire l’importanza e l’estrema utilità di questa norma di sicurezza dell’AIFA.

La maggior parte dei nuovi farmaci Anticoagulanti per via orale vengono metabolizzati per via epatica attraverso il citocromo P450, e tale attività metabolica sembra essere responsabile dell’elevato grado di interazione osservata recentemente con il cibo e di altri farmaci coinvolti nello stesso processo di metabolizzazione. Inoltre, siccome questi farmaci vengono trasportati a livello intestinale nelle cellule enteriche mediante la Glicoproteina-P (P-gp), sistema tra l’altro usato da molti altri farmaci e costituenti alimentari, ecco allora un altro motivo potenziale di interazione farmacologica da non sottovalutare. Pertanto, attivatori o inibitori di queste vie metaboliche (CYP3A4 e P-gp) potrebbero innescare potenziali interazioni farmacologiche con queste nuove terapie.

E’ di recente la dimostrazione clinica che la concentrazione plasmatica di questi nuovi anticoagulanti per via orale, aumenta o diminuisce dalla presenza concomitante di potenti inibitori della P-gp o suoi attivatori, e in entrambi casi, le alterazioni che si verificano a carico della farmacocinetica del nuovo anticoagulante orale, possono complicare l’uso di questi composti nella pratica quotidiana. Tutto ciò, suggerisce l’opportunità di controllare l’attività anticoagulante per migliorare l’efficacia e la sicurezza quando si somministrano altri farmaci e non si conoscono ancora le possibili interazioni. Questa cautela potrebbe evitare sicuramente notevoli ripercussioni a livello non solo terapeutico ma soprattutto sullo stato di salute del paziente. A riguardo ciò, recenti studi hanno messo in evidenza che il l’uso del Dabigatran richiede cautela quando usato in combinazione con potenti inibitori o induttori della P-gp, come l’Amiodarone o la Rifampicina di cui sopra citati.

Il Dabigatran ha una biodisponibilità assoluta pari a circa il 65% (per cui le capsule contengono dosaggi relativamente elevati di profarmaco), un basso potenziale di legame alle proteine plasmatiche, un’emivita di 12-17 ore ed un’escrezione prevalentemente renale (80%); il Dabigatran ed i suoi metaboliti non sono metabolizzati dal citocromo P450, cosicchè assai scarso risulta il livello di interazione farmaco-farmaco e quello con gli alimenti. Le uniche interazioni farmacologiche possono avvenire a livello intestinale con gli inibitori e/o induttori della glicoproteina-P, responsabile del riassorbimento del Dabigatran nel lume intestinale. Potenti induttori di tale trasportatore, come la rifampicina, la carbamazepina, la fenitoina, inibitori delle proteasi ed iperico (“erba di San Giovanni”), possono ridurre l’esposizione sistemica al Dabigatran e sono, perciò, non indicati in associazione. Forti inibitori di tale proteina, come gli antifungini (Itraconazolo e Ketoconazolo), la Ciclosporina, il Tacrolimus, e il Dronedarone, aumentano il tempo di esposizione e sono, quindi, anch’essi, controindicati in associazione. In tutti i casi in cui le alterazioni della farmacocinetica del nuovo anticoagulante orale, dovute alle interazioni con il CYP3A4 o con la P-gp, possono complicare l’uso di questi composti nella pratica quotidiana, si suggerisce l’opportunità di controllare l’attività anticoagulante per migliorare l’efficacia e la sicurezza. Molte interazioni farmacologiche hanno dimostrato il coinvolgimento della P-gp e del CYP3A4 a causa della sovrapposizione della specificità del substrato e le loro somiglianze con gli induttori e gli inibitori. Così, si può assumere che quando le interazioni non sono pienamente comprese, la somministrazione dei nuovi anticoagulanti orali in concomitanza con altri farmaci e con particolari alimenti, deve essere necessariamente, se non addirittura obbligatorio, accompagnata dal monitoraggio dell’effetto anticoagulante.

Ovviamente anche in questo caso il farmacista ha il ruolo chiave nel prevenire queste fatalità, comunicando tempestivamente i pazienti sui possibili eventi avversi.

In Tabella, le caratteristiche farmacocinetiche dei più importanti anticoagulanti orali

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Riferimenti:

1 – EHRA Practical Guide on the use of new oral anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation: executive summary. European Heart Journal, doi:10.1093/eurheartj/eht134, 2013.

2 – Advantages and limitations of the new anticoagulants. Journal of Internal Medicine, doi: 10.1111/joim.12138, 2013

 Happy Easter to all of you!

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 Terapia Oncologica: è cruciale la collaborazione tra Farmacisti e Oncologi!

PillsE’ stato recentemente pubblicata una interessante review su “Critical Reviews in Oncology Ematology” (89, 179-196, 2014, download: http://www.journals.elsevier.com/critical-reviews-in-oncology-hematology) dove viene fornita la prima panoramica completa delle interazioni farmacologiche che coinvolgono terapie mirate approvate dalla Food and Drug Administration per il trattamento di tumori solidi (sorafenib, sunitinib, erlotinib, gefitinib, imatinib, lapatinib, everolimus, temsirolimus), in presenza di altri farmaci e del regime dietetico adoperato. Questa review  è molto importante perché evidenzia come oggi sia importante una stretta collaborazione tra gli oncologi e i farmacisti nell’offrire più sicurezza nell’uso di terapie mirate in pazienti ambulatoriali con patologie oncologiche.

Infatti, oramai è ben noto che la pratica clinica oncologica sta cambiando rapidamente grazie all’uso di agenti antitumorali per via orale, in particolare l’uso di inibitori della tirosina-chinasi. In concomitanza, diversi cambiamenti stanno profondamente modificando l’attività quotidiana di oncologi medici. Ad esempio, la prevalenza sempre più marcata di pazienti anziani, così come di pazienti con una patologia oncologica e altre patologie croniche associate, ha portato ad una inevitabile politerapia orale. Come di conseguenza, il rischio di possibili interazioni farmaco-farmaco e farmaco-cibo è diventato una questione importante nella cura del paziente. Se da un lato l’uso della terapia oncologica per via orale permette l’ottimizzazione della terapia rispetto a quella tradizionale per via endovenosa, dall’altro lato l’uso del farmaco per via orale introduce nuovi fattori cruciali da tenere in considerare, sia per la prescrizione e per la fase del follow-up.

Quest’aspetto fa capire che la complessità emergente legata alla terapia orale con agenti antitumorali richiede cambiamenti concreti nell’ambito dell’organizzazione sanitaria e deve essere rafforzato il legame tra oncologi e farmacisti, dove quest’ultima figura professionale ha il principale compito di studio e monitoraggio. La collaborazione attiva tra oncologi e farmacisti potrebbe anche contribuire a risolvere il problema della farmacoresistenza tipica degli agenti antitumorali. Infatti, studiando e monitorando l’attività e le abitudini dei pazienti si possono ridurre le più comuni interazioni farmaco-farmaco e farmaco-cibo.

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 Farmaci Attivi sull’Enzima CYP 3A4: Ecco una Tabella Preliminare

Oramai, farmaci ed altri substrati attivi sull’isoforma enzimatica 3A4 sono sempre più noti in letteratura scientifica e sebbene questa sia  l’isoforma enzimatica più coinvolta nella metabolizzazione dei farmaci (circa il 60%) non dobbiamo trascurare anche le altre.

L’isoforma CYP3A4 è la più abbondante sia nel fegato che nel tratto intestinale ed è responsabile del metabolismo ossidativo di una grande varietà di substrati compresi steroidi e della maggior parte dei farmaci. Inoltre, come è stato ampiamente già dimostrato, il CYP 3A4 è intimamente coinvolto nella carcinogenesi chimica sia nel fegato che dei tessuti extra-epatici. Il CYP3A4 catalizza non solo molte reazioni chimiche tipiche dei farmaci, ma di molti altri substrati naturali contenuti negli alimenti. Le reazioni chimiche catalizzate più comuni comprendono la N-ossidazione, la C-ossidazione, N-dealchilazione, O-dealchilazione, nitro-riduzione, C-ossidriòazione, e molte altre. A seguito di tali reazioni molti farmaci risultano generalmente più solubili in acqua e molti di essi sono in possesso di una minore attività biologica. Pertanto, una sua inibizione o induzione può provocare serie conseguenze non solo a livello dell’efficacia terapeutica di un farmaco, ma soprattutto nella nascita di reazioni avverse, a volte fatali per il paziente.

Nella seguente Tabella sono stati riportati i più comuni Farmaci attivi sul CYP3A4 sia come Substrati che come Induttori o Inibitori. Ovviamente, la Tabella comprende solo quei Farmaci di cui è ben documentata in letteratura il loro coinvolgimento verso l’enzima considerato. E’ da notare che non è possibile generalizzare il comportamento di una singola classe di Farmaci verso il CYP 3A4 poichè nella stessa classe ci possono essere notevoli differenze. E’ possibile utilizzare queste informazioni per un giusto e corretto uso di Farmaci in un particolare regime dietetico, evitando così la nascita di interazioni critiche.

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 Gli ACE-inibitori e l’importanza del Potassio

Minerale-PotassioIl Potassio è essenziale per il corretto funzionamento del cuore, reni, muscoli, nervi e sistema gastrointestinale. Di solito il cibo che si mangia fornisce tutto il potassio necessario. Tuttavia, alcune malattie (per esempio, malattie renali e malattie gastrointestinali, con vomito e diarrea) e alcuni farmaci, soprattutto diuretici drastici, possono causare la perdita il potassio dal corpo. Per questo motivo a volte si ricorre agli Integratori di potassio per prevenire la carenza di potassio. Gli ACE-inibitori (Captopril, Enalapril, Lisinopril) sono una classe di farmaci prescritti da soli o con altri farmaci per trattare l’ipertensione. Ma alcuni di essi trovano applicazione anche per trattare l’insufficienza cardiaca congestizia in pazienti post-infarto. Gli ACE inibitori possono causare una riduzione di escrezione di potassio e ciò può portare ad una iperkaliemia, ossia un eccessivo contenuto di potassio nell’organismo con conseguente alterazione della funzionalità cellulare. E’, pertanto, buona norma che il paziente eviti di mangiare cibi ricchi di potassio durante l’assunzione di farmaci appartenenti a questa categoria. Il medico ed il farmacista può consigliare di evitare di mangiare cibi ricchi di potassio o l’assunzione di integratori di potassio onde evitare queste anomalie.

Inoltre, gli ACE-inibitori possono anche aumentare la concentrazione ematica di litio  e portare a un aumento degli effetti collaterali di litio. Infine, sono stati riportati casi in cui l’aspirina e gli altri farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), come l’ibuprofene, l’indometacina, e naprossene hanno ridotto gli effetti terapeutici degli ACE-inibitori. E’ ovvio che una particolare attenzione deve essere presa se si assumono diuretici appartenenti alla classi di Risparmiatori di Potassio, quali ad esempio, l’Amiloride, il Triamterene e lo Spironelattone.

Per questo motivo prima di assumere questi farmaci, bisogna informare il Medico o il Farmacista se si utilizzano sostituti del sale contenenti potassio. Dalla loro parte, i pazienti sotto regime terapeutico, al momento dell’acquisto di generi alimentari, devono controllare le etichette degli alimenti per determinare il contenuto di potassio. Se non si è sicuri circa il contenuto di potassio di un particolare alimento, è bene consultare il Medico o il Farmacista di fiducia. Esempi di alimenti ricchi di potassio sono: arance, banane, succhi di agrumi, frutta secca, albicocche, datteri, prugne secche, piselli, fagioli e latte. E si ricordi, infine, che bisogna assumerli a stomaco vuoto almeno 1 ora prima dei pasti.

 …e alcuni utili consigli prima di usare Tè Verde!

Safety FirstE’ buona norma evitare di bere il tè verde o alimenti che lo contengono durante il trattamento con i seguenti farmaci, senza aver consultato il Medico o il tuo Farmacista:

  • Adenosina – Il tè verde può inibire le azioni di adenosina, un farmaco somministrato a livello ospedaliero per un ritmo cardiaco irregolare (e di solito instabile).
  • Antibiotici beta-lattamici – Il tè verde può aumentare l’efficacia degli antibiotici beta- lattamici riducendo la resistenza batterica al trattamento.
  • Benzodiazepine – La Caffeina contenuta nel tè ha dimostrato di ridurre gli effetti sedativi delle benzodiazepine (farmaci comunemente usati per trattare l’ansia, come il diazepam e lorazepam).
  • I beta-bloccanti, (es. Propranololo e Metoprololo) – La Caffeina può aumentare la pressione sanguigna mentre le catechine possono ridurre la dose del farmaco in terapia con minori effetti terapeutici.
  • Farmaci Anticoagulanti – Persone che prendono il warfarin, un farmaco anticoagulante dal momento che il tè verde contiene vitamina K, può rendere inefficace il farmaco. Inoltre, evitare di assumere tè verde e Aspirina perché entrambi con il processo di coagulazione. Utilizzando i due insieme può aumentare il rischio di sanguinamento.
  • Chemioterapia – La combinazione di tè verde ed i farmaci chemioterapici, in particolare doxorubicina e tamoxifene, potrebbe aumentare la biodisponibilità di questi farmaci e quindi la loro attività. D’altra parte, ci sono prove sperimentali che di due estratti di tè verde e nero stimolando un gene in cellule tumorali della prostata causando una riduzione della sensibilità  ai farmaci chemioterapici. Dato questo potenziale interazione, le persone non dovrebbero bere il tè nero e verde mentre sono in terapia antitumorale.
  • Clozapina – Gli effetti antipsicotici della clozapina possono essere ridotte se viene somministrato entro 30 minuti minuti dopo aver bevuto il tè verde.
  • Efedrina – Il tè verde assunto con efedrina può causare agitazione, tremori, insonnia e perdita di peso.
  • Litio – Il tè verde ha dimostrato di ridurre i livelli ematici di litio, un farmaco ancora usato per trattare alcune forme di patologie psicotiche.
  • Inibitori Monoamino ossidasi (IMAO) – Il tè verde può causare un aumento della pressione arteriosa quando presi insieme con IMAO, utilizzati per curare la depressione. Esempi di IMAO comprendono fenelzina e tranilcipromina .
  • Contraccettivi orali – Al momento ci sono molte segnalazioni discordanti sull’effetto della caffeina sull’attività di questa classe di farmaci per cui è preferibile ridurre la quantità di caffeina assunta nell’arco delle 24 ore.

 Il Te Verde riduce l’efficacia del Nadololo, noto beta-bloccante.

Green-teaIn uno studio pubblicato il 13 Gennaio 2014 su Clinical Pharmacology & Therapeutics è stato riportato che bere te verde può comportare una riduzione plasmatica del Nadololo, noto beta-bloccante, con conseguente riduzione della sua efficacia antiipertensiva. Il Nadololo è prescritto per l’ipertensione e angina pectoris, ed è in uso in molti paesi sebbene esso sia meno potente rispetto ad altri classici beta-bloccanti come il Metoprololo e l’Atenololo. I ricercatori hanno dimostrato che la riduzione della pressione sanguigna per effetto di una singola dose di Nadololo era più debole dopo che i pazienti volontari avevano bevuto circa 2 tazze al giorno di tè verde per un periodo di 2 settimane. In alcuni casi si è osservata una riduzione della dose plasmatica fino al 76%. Gli autori hanno dimostrato che in esperimenti di coltura cellulare, il tè verde sembra inibire il trasportatore di efflusso cellulare anionico OATP1A2, presente nell’epitelio intestinale ed almeno in parte responsabile del trasporto del Nadololo nelle cellule. Precedenti studi in vitro hanno, infatti, dimostrato che le catechine contenute nel te verde sono in grado di inibire i trasportatori di efflusso di membrana come la glicoproteina-P (P-gp), il OAP1A1, e OATP1A2, ed il  Nadololo è proprio un substrato del trasportatore OATP1A2. Comunque, bisogna evidenziare che lo studio effettuato si è basato su un numero limitato di pazienti per cui i risultati ottenuti devono essere ulteriormente confermati con una casistica più ampia per trarne conclusioni definitive. Inoltre, i risultati riportati con questo studio non permettono di generalizzare le interazioni con altri beta-bloccanti sebbene sia sempre necessario muoversi con cautela quando si fa uso di questa classe di farmaci in presenza di te verde. E’ attualmente in corso uno studio clinico in cui si sta valutando l’effetto del te nero, da molti ritenuto molto più efficace nel modificare la biodisponibilità dei farmaci, e i cui risultati saranno a breve disponibili.

(link:  http://www.nature.com/clpt/journal/vaop/naam/pdf/clpt2013241a.pdf).

 Nuovi Approcci Chemioterapici: l’importanza degli inibitori delle proteine trasportatrici di membrana (ABC)

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Come è ben noto, l’efflusso di farmaci dalla cellula è efficacemente mediata da proteine ​​appartenenti alla famiglia di proteine trasportatrici note come ATP-binding cassette (ABC). Diversi membri di questa famiglia di proteine come la MRP (Multidrug Resistence Protein), la MDR1, la stessa Glicoproteina-P e la proteina di resistenza del cancro al seno (BCRP), hanno dimostrato di conferire chemioresistenza o multiresistenza ai farmaci. Queste proteine ABC sono responsabili per il trasporto di diversi componenti attraverso le membrane cellulari ma oltre a loro substrati endogeni naturali, le proteine ​​MRP, MDR1, e BCRP trasportano anche una vasta gamma di sostanze citotossiche. Molte di queste proteine trasportatrici di membrana risultano essere sovraespresse nei processi tumorali per cui sono responsabili nel conferire resistenza contro farmaci chemioterapici, quali ad esempio, l’etoposide, il 5-fluorouracile (5-FU) e la gemcitabina. In poche parole, il farmaco non è in grado di accumularsi all’interno della cellula tumorale poiché viene continuamente pompato all’esterno per la sovraespressione di queste proteine trasportatrici.

Altro tipo di proteine trasportatrici sono rappresentate dalle OATPs (Organic Anion Transport Polypeptides), le quali rappresentano proteine ​​di trasporto di membrana che mediano il trasporto sodio-indipendente di una vasta gamma di composti organici amfipatiche compresi i sali biliari, coloranti organici, steroidi coniugati, ormoni tiroidei, oligopeptidi anionici, farmaci e altre sostanze xenobiotiche. La maggior parte delle proteine OATPs sono espresse in diversi tessuti.

In ogni modo, il profilo di espressione cellulare apparente dei trasportatori può essere alterato da farmaci chemioterapici, portando ad un fenotipo cellulare che può anche essere il risultato di un meccanismo di selezione per sottopopolazioni preesistenti di cellule indotta da farmaci. Appare comunque evidente come sia necessario conoscere la natura delle proteine trasportatrici ABC sovraespresse a livello di qualsiasi tumore per attuare un giusto regime terapeutico limitando quanto possibile la nascita di farmacoresistenza. Oggi esistono molte sostanze in grado di modulare l’attività di questi trasportatori di membrana, alcune delle quali contenute in alcuni alimenti. Pertanto, è possibile agire in modo razionale abbinando al chemioterapico anche un inibitore della proteina trasportatrice riducendo al massimo i fenomeni di farmacoresistenza e limitando anche agli effetti avversi ben noti dei chemioterapici. Molti di questi esempi di abbinamento sono già in fase clinica avanzata e tra breve verranno utilizzati a livello ospedaliero. Un esempio concreto è dato dall’uso del Tariquidar, un inibitore della Glicoproteina-P, in grado di bloccare la pompa per 22 ore, con il Paclitaxel. Ebbene, questa combinazione è attualmente in fase finale di uno studio clinico nel trattamento del carcinoma polmonare, dove il Paclitaxel usato da solo risulta essere poco efficace per la presenza di farmacoresistenza. Tra breve, pertanto, potremmo disporre di una terapia chemioterapica più efficace e meno lesiva per i pazienti, grazie alla conoscenza di meccanismi di trasporto cellulare individuati studiando le interazioni farmaco-nutrienti. (Reference: Screening for P-Glycoprotein (Pgp) Substrates and Inhibitors, Q Wang, TM Sauerwald – Optimization in Drug Discovery, Methods in Pharmacology and Toxicology, 337-352, 2014). 

 Interazioni Vegetali-Frutta e Farmaci: Un insidia dietro l’angolo!

fruit-veggie-spread-mfMolto spesso non ci rendiamo conto che sono numerosi i pazienti soggetti ad un potenziale rischio di eventi avversi associati alle interazioni farmaco-nutrienti. Questi includono pazienti anziani, pazienti affetti da patologie tumorali e/o malnutrizione, disfunzioni del tratto gastrointestinale, sindrome di immunodeficienza e da malattie croniche che richiedono l’uso di più farmaci, così come coloro che ricevono la nutrizione enterale o soggetti sottoposti a trapianto. Pertanto, il motivo principale per il quale bisogna conoscere le possibili reazioni avverse che possono prendere origine in seguito alle interazioni farmaco-nutrienti è l’enorme importanza della frutta e della verdura utilizzati per i loro effetti benefici sia come sostanze nutritive e come componenti nella medicina popolare.

Attualmente, ci sono pochi studi che combinano un approccio farmacologico dettagliato a base di nutrienti, o studi che esplorano sistematicamente i rischi e i benefici di frutta e verdura. Questi ultimi sono noti per essere componenti importanti in una dieta sana, dal momento che hanno un basso apporto energetico, e sono fonti di micronutrienti, fibre e altri componenti con proprietà funzionali, chiamati agenti fitochimici. L’aumento del consumo di frutta e verdura può anche aiutare a contenere i livelli di grassi saturi, zuccheri e sale. Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una maggiore assunzione di frutta e verdura al giorno, distribuita opportunamente durante l’intera giornata, potrebbe aiutare a prevenire le principali malattie croniche non trasmissibili, grazie proprio alla presenza di importante sostanza fitochimiche in esse contenute. Prove sempre più concrete dimostrano che combinazioni di sostanze fitochimiche possono essere molto più efficace nella protezione contro alcune malattie. Ecco quindi l’uso più sostenuto di questi nutrienti soprattutto nella prevenzione o abbinati nella terapia farmacologica di routine. Ne sono esempio molti vegetali e frutta con conclamata proprietà antitumorale.

Tuttavia le sostanze fitochimiche contenute nella frutta e nella verdura possono avere effetti inaspettati sul metabolismo di molti farmaci quando assunti in contemporanea. Infatti, molti di questi agenti fitochimici agiscono sulle diverse isoforme di CYP450 e sui sistemi di trasporto cellulare (Glicoproteina-P), con effetti non ancora del tutto definiti. Ma molto spesso, nell’intendo di perseguire una terapia adeguata sia farmacologica che dietetica, si corre il rischio di commettere dei grossi errori.

Di seguito si riporta una tabella in cui sono riportati i principali effetti degli agenti fitochimici contenuti nei vegetali e nella frutta, ad oggi ben documentate. Questi dati, raccolti esaminando la letteratura scientifica, fanno riflettere molto sulla criticità delle potenziali interazioni farmaco, vegetali e frutta.

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 Il Pompelmo in aiuto ai Farmaci Antitumorali

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I ricercatori dell’Università di Chicago, Dept. of Medicine, hanno riportato recentemente uno studio basato sugli effetti che gli alimenti possono avere sull’assorbimento e l’eliminazione dei farmaci utilizzati per il trattamento di alcune forme di cancro. Ebbene, in questo studio pubblicato su  Clinical Cancer Research, hanno dimostrato che 250 mL al giorno di succo di pompelmo può rallentare la metabolizzazione di un farmaco chiamato Sirolimus, recentemente approvato per i pazienti sottoposti a trapianto, ma che può anche aiutare molte persone affette da cancro.

Si è visto, infatti, che i pazienti che hanno bevuto 250 mL al giorno di succo di pompelmo presentavano un aumentato a livello ematico del farmaco del 350 per cento!

In pratica, assumendo una singole dose di Sirolimus in presenza di succo di pompelmo, è possibile realizzare un analogo regime terapeutico ottenuto dopo somministrazione di più di tre dosi dello stesso farmaco. I risultati non sono da sottovalutare poiché questo studio rappresenta una prova evidente che in futuro quando lo studio sarà ottimizzato, è possibile aiutare i pazienti a evitare effetti collaterali associati con alte dosi di farmaco antitumorale associando opportuni nutrienti. Non solo è possibile salvaguardare la salute dei pazienti ma addirittura ridurre il costo della terapia, un risultato altrettanto importante.

(http://news.uchicago.edu/article/2012/08/07/grapefruit-juice-lets-patients-take-lower-dose-cancer-drug)

 Buon Natale !! — Merry Christmas !!

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 Il Paziente Geriatrico

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L’Organizzazione Mondiale della Salute ha stimato che nel 2010 oltre il 13% delle persone ospedalizzate è stata affetta da una reazione avversa dovuta ad un’interazione non prevista tra farmaci o tra farmaci e nutrienti.  Ovviamente mancano tutte le statistiche per quanto riguarda le reazioni avverse per i pazienti trattati a casa propria e non controllati direttamente. I pazienti più sensibili a queste reazioni avverse sono quelli anziani che oggi, nei Paesi più industrializzati, rappresentano una quota elevata: solo in Italia si aggira intorno al 40%. Questa popolazione fa uso più di un terzo di tutti i farmaci prescritti. Inoltre, i pazienti anziani usano molti farmaci caratterizzati da un basso range terapeutico e ciò predispone ad una più frequente nascita di reazioni avverse. Si consideri, inoltre, che molto spesso gli anziani fanno uso di più farmaci con un regime terapeutico a lungo termine creando non pochi problemi per le interazioni farmaco-farmaco. A questo quadro già complesso bisogna aggiungere tutte le interazioni dei farmaci con i nutrienti non ancora ben studiate. Il risultato si traduce molto spesso in un regime terapeutico nel paziente anziano non sempre garantito con notevole ripercussione sulla sua salute.

Le interazioni tra cibo-farmaco nei pazienti geriatrici sono state riportate tra una vasta gamma di classi di farmaci, tra cui, ma non limitatamente, a livello cardiovascolare, psicoattivo, anti-infettivi, endocrinologico, gastrointestinale, e respiratorio. E tutto questo perché il paziente anziano è soggetto a cambiamenti fisiologici legati all’età che influenzano direttamente assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione non solo dei nutrienti ma anche dei farmaci. Infatti, nei pazienti geriatrici si assiste a una diminuzione nel funzionamento gastrointestinale, come lo svuotamento gastrico e la motilità intestinale; diminuisce in rapporto di peso corporeo magro rispetto al grasso corporeo;  diminuisce il legame dei farmaci con le proteine ​​plasmatiche; infine, diminuisce l’attività renale ed epatica.

Per avere un’idea della criticità di tali interazioni basti pensare che per alcuni farmaci cardiovascolari le conseguenze sono molto serie. Infatti, l’assorbimento della Digossina diminuisce se assunta con prodotti ricchi di fibre (ad esempio, crusca, pectina, lassativi) mentre, invece, l’assorbimento dell’Amiodarone è incrementato con la presenza di cibo, con la possibilità di aumentare gli eventi avversi per tossicità.Ancora, l’assorbimento dei beta-bloccanti Metoprololo, Labetalolo e Propranololo risulta essere incrementato in presenza di nutrienti, mentre l’assorbimento dell’Acebutololo e Nadololo risulta diminuito, ma in ambo i casi le ripercussioni per il regime terapeutico sono notevoli. Ma qui ci siamo limitati solo ad accennare qualche criticità che assolutamente qualsiasi operatore sanitario dovrebbe conoscere molto bene.

Gli operatori sanitari possono prevenire queste interazioni selezionando attentamente farmaci per i pazienti geriatrici e indicando accuratamente ai pazienti circa le interazioni farmacologiche con i cibi che mangiano.

 Il ruolo della Glicoproteina-P nel trattamento dell’Epilessia

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E’ oramai ben noto il ruolo della glicoproteina-P nel regolare la biodisponibilità dei farmaci ed il suo ruolo svolto nella resistenza ai farmaci chemioterapici. Ebbene, è stato pubblicato un interessante studio sul ruolo della Glicoproteina-P e la sua espressione, in relazione con i farmaci antiepilettici in modello di ratto. E’ stato rilevato che in ratti epilettici intrattabili, ovvero refrattari con i farmaci attualmente disponibili, le concentrazioni di due importanti farmaci antiepilettici, ovvero la carbamazepina e la fenitoina, erano molto bassi nel liquido extracellulare corticale, e che le concentrazioni sono state restaurate a livelli terapeutici dopo il blocco di glicoproteina-P mediante uso di verapamil, noto inibitore di questo enzima. Questi risultati mostrano che l’aumento dei livelli di glicoproteina-P che si verifica in ratti refrattari alla terapia altera la capacità della carbamazepina e della fenitoina di penetrare la barriera emato-encefalica e ridurre la concentrazione di questi agenti nel fluido extracellulare corticale. Pertanto, la glicoproteina-P è direttamente coinvolta nella resistenza ai farmaci antiepilettici nelle forme di epilessia intrattabile.

Ma questo importante risultato porta anche a comprendere che è possibile riprodurre una analoga situazione in soggetti terapeuticamente trattabili se insieme ai farmaci antiepilettici assumiamo alimenti o nutrienti i cui componenti possono attivare l’azione enzimatica della glicoproteina-P. E questo evento può essere evitato se il paziente viene tempestivamente informato a riguardo del regime dietetico da seguire (Drug Design, Development and Therapy, 2013. Download at http://www.dovepress.com/article_15162.t24021036).

 Il Melograno: il caro frutto poetico!

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Il Melograno è comunemente consumato in tutto il mondo ed è utilizzato nella medicina popolare per un’ampia varietà di scopi terapeutici. Il melograno è una ricca fonte di diverse sostanze chimiche come pectine, tannini, flavonoidi e antociani. E’ stato riportato che alcuni componenti contenuti nel melograno sono in grado di influenzare la farmacocinetica della Carbamazepina nei ratti inibendo l’attività dell’enzima CYP3A4 enterico. Ma l’aspetto più sorprendente è che questo effetto inibitorio, almeno nei ratti, avviene dopo un’unica esposizione a succo di melograno e sembra durare per circa tre giorni.  In un altro studio, condotto da Nagata, è stato scoperto che il succo di melograno inibisce anche l’attività dell’enzima umano CYP2C9 ed è in grado di aumentare la biodisponibilità della tolbutamide nei ratti. Infine, recentemente, il succo di melograno ha dimostrato di inibire potentemente la sulfoconiugazione del 1-naftolo in cellule Caco-2.

Per questo, è stato suggerito che alcuni componenti di succo di melograno, tra le quali molto probabilmente è implicato la punicalagina (un complesso derivato fenolico), possono compromettere le funzioni metaboliche del intestino (in particolare appunto la reazione di sulfoconiugazione) e quindi potrebbero avere effetti imprevedibili sulla biodisponibilità di farmaci (Drug Metab. Dispos. 33, 644-648, 2005; Drug Metab. Dispos. 35, 302-305, 2007; Drug Discovery, 2013, free download http://dx.doi.org/10.5772/48283).

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 Gli effetti del Succo d’Arancia

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Il pompelmo non è l’unico componente della famiglia degli agrumi a destare preoccupazione a riguardo delle interazioni critiche con i farmaci. Sebbene precedenti studi clinici abbiano evidenziato che il consumo di succo d’arancia non sembra alterare l’attività dell’enzima CYP3A4 in vivo, tuttavia pare che il solo succo d’arancia ottenuto dalle arance di Siviglia mostri un’azione simile al succo di pompelmo, influenzando la farmacocinetica dei substrati del CYP3A4. E questo dato conferma più che mai che ogni alimento ha caratteristiche peculiari che non consentono affermazioni generalizzate senza uno studio clinico appropriato.
D’altra parte, era già stato dimostrato che una singola dose di 240 mL di spremuta di arance di Siviglia può determinare un aumento del 76% della biodisponibilità della Felodipina, un comune calcio bloccante ad azione antiipertensiva, paragonabile a quello che si osserva dopo consumo di succo di frutta di pompelmo.
Presumibilmente, l’origine di questo effetto, simile a quello osservato per il pompelmo, può essere dovuto al fatto che nelle arance tipo Siviglia sono presenti quantità significative di flavonoidi, principalmente la bergamottina e la 6’,7’-diidrossibergamottina, assenti o comunque presenti solo a basse concentrazioni in altri tipi di arance.
Comunque, a parte il discorso del CYP3A4, è stato evidenziato come il succo d’arancia sia in grado di esercitare effetti inibitori anche sulla Glicoproteina-P (Pgp), importante pompa di efflusso di molti farmaci a livello intestinale. Infatti, è stato dimostrato che l’Eptametossiflavone, Tangeretina e Nobiletina, presenti nel succo della maggior parte delle arance, sono i principali responsabili dell’inibizione della PgP.
Pertanto, l’assunzione di succo d’arancia può inibire l’efflusso dei trasportatori di Pgp (non solo farmaci ma anche altre sostanze), incrementando in questo modo la biodisponibilità di farmaci e quindi aumentando la possibilità di rischio di eventi avversi.
Un altro elemento importante da considerare è che taluni componenti del succo d’arancia, come il flavonoide naringina, si comportano da inibitori in vitro dell’attività di trasporto della pompa di efflusso OATP, ed in particolare quella umana OATP-A. Questa pompa di efflusso è prevalentemente espressa nel cervello, mentre non è presente nell’intestino. Le conseguenze funzionali dovute a tale inibizione possono essere verificate valutando l’attività di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale e, in particolare, dei farmaci antitumorali attivi in questa sede, visto che le pompe di efflusso OATP-A sono sovraespresse in patologie tumorali.
Infine, recentemente è stato dimostrato che il succo d’arancia è in grado di ridurre moderatamente la biodisponibilità dell’ Atenololo, farmaco ad azione antiipertensiva, e questo effetto potrebbe richiedere un aggiustamento della dose per evitare reazioni avverse.
(Journal of Food Science, Vol. 76, Nr. 4, 2011).

 Interazioni Farmaci Antitumorali e Nutrienti: ecco perché bisogna prestare molta attenzione.

Ecco un esempio di interazione tra Nutrienti e Farmaco che può avere risvolti terapeutici estremamente critici ai fini terapeutici. In realtà, esistono situazioni in cui una certa tipologia di cibo può dar luogo ad interazioni vantaggiose ad esempio aumentare l’efficacia del farmaco e diminuire gli effetti collaterali ad  esso associati. Questo è il caso che ha riguardato l’uso del Labatinib (Tykerb), uno dei farmaci più recenti e promettenti usato nella terapia del tumore al seno, e dell’Abiraterone (Zytiga). Un interessante studio riguardante l’interazione del Lapatinib con un pasto ricco di grassi è stato pubblicato nel 2007 su Journal of Clinical Oncology. In questo studio Mark Ratain ed Ezra Cohen hanno valutato pazienti trattati con Lapatinib rispettivamente a digiuno e non. E’ stato dimostrato che a stomaco pieno, l’efficacia del Lapatinib aumenta sensibilmente.

Praticamente, è stato dimostrato che il semplice cambiamento dell’ora di assunzione di questo farmaco, somministrato a stomaco pieno anziché vuoto, ha determinato un aumento del 40% dell’efficacia del farmaco rispetto al valore registrato a digiuno. Un gruppo successivo di pazienti, alle quali è stato somministrato il farmaco dopo un pasto particolarmente ricco di grassi, ha mostrato livelli serici di Lapatinib pari al 325%. Gli autori asseriscono addirittura che operando in un calibrato regime alimentare ricco di grassi è possibile stimare una riduzione di costi che oscilla tra il 40 e il 60%, e addirittura ipotizzano che la contemporanea somministrazione di una singola compressa da 250 mg del farmaco insieme a cibi ricchi di grasso è possibile produrre una concentrazione ematica di Lapatinib pari più compresse di Lapatinib prese a stomaco vuoto.

In pratica, riducendo drasticamente la dose di farmaco da somministrare si otterrebbe la riduzione degli effetti collaterali e della tossicità associata a questo farmaco (per es. diarrea) con enorme vantaggio per il paziente.

Un esempio analogo si è verificato con l’uso dell’Abiraterone acetato (Zytiga) utilizzato nel trattamento del carcinoma prostatico. Questo farmaco è stato introdotto in Italia recentemente, ossia il 17 Aprile 2013, ma già rilasciato negli usa qualche anno prima. Sebbene le raccomandazioni richiamano l’attenzione ad usare questo farmaco a stomaco vuoto, un recente studio ancora in corso (University of Chicago, Dr. Szmulewitz) ha dimostrato che anche in questo caso se il farmaco viene assunto a colazione, e quindi a stomaco pieno, ma con dieta povera di grassi, è possibile aumentare la sua biodisponibilità riducendo gli effetti negativi ma soprattutto con notevoli vantaggi economici da parte del paziente e del sistema sanitario. Ecco a parole proprie del Dr. Szmulewitz, le conclusioni:

The savings for patients and their insurance companies to take lower doses of the drug would be significant. The drug costs $ 5,000 per month. Taking a quarter of the dose with a breakfast low in fat, patients may be able to get the full medical benefit and to save about $ 3,750 a month”.

Questi sono solo 2 casi, ma chissà quante altre interazioni al momento non vengono prese in considerazione con l’uso corrente di  importanti farmaci antitumorali….

 Quando le Interazioni diventano pericolose: il caso dellaTerfenadina

La storia che di seguito descrivo è un chiaro esempio di come le interazioni farmaco-cibo siano molto più serie di quanto possano sembrare e spesso conducono a risultati irreversibili. Il caso che vi descrivo riguarda l’uso improprio di un antiistaminico la Terfenadina (Seldane, USA) somministrato con succo di pompelmo. Leggiamo la cronaca riportata in seguito a questo fatale evento:

Un ragazzo di 29 anni, sano e atletico, è morto dopo assunzione di Seldane, un antistaminico, insieme a succo di pompelmo. L’uomo ha bevuto due bicchieri di succo di pompelmo con Seldane, poi è andato fuori in giardino a tagliare il suo prato, ed è morto poco dopo per arresto cardiaco. In seguito a questo evento il Seldane è stato ritirato dal mercato statunitense“.

Ciò è accaduto perchè il Pompelmo blocca l’enzima CYP3A4 importante a metabolizzare la Terfenadina nel suo metabolita attivo, ossia le Fexofenadina. Ed è quest’ultimo il vero farmaco mentre la Terfenadina è estremamente tossica per il cuore. Solo in seguito a questo grave incidente si è capito che la Terfenadina (dose di 60 mg), in condizioni normali, viene quasi completamente metabolizzata a Fexofenadina, e solo 6 ng/ml rimangono a livello ematico, quota non nociva. Qualora l’enzima in questione, il CYP3A4 viene bloccato come nel caso del succo di pompelmo, la Terfenadina non può essere più metabolizzata e pertanto a livello ematico si ritrova una dose elevata della Terfenadina tossica per il cuore causando arresto cardiaco. E questo solo bevendo 2 bicchieri di succo di pompelmo insieme al farmaco!

Antiistaminici

Per finire, bisogna annotare che la società farmaceutica propritaria della molecola è corsa subito ai ripari. Infatti, poco dopo la delucitazione che la Fexofenadina è il reale principo attivo e non presenta effetti tossici, ha immesso sul mercato un nuovo prodotto e, ironia della sorte, l’ha chiamato Allegra!! Questa storia ci dà più di un motivo di riflessione!

 Come mitigare i processi infiammatori mediante giusta alimentazione

E’ noto che un processo infiammatorio di tipo cronico può ritardare la guarigione e, se lasciato incontrollato, può contribuire alla nascita  di malattie molto più serie e complesse. È sempre più evidente che alcuni fattori dietetici possono svolgere un ruolo importante nel mantenimento della salute e anche invertire la progressione di malattie croniche, con effetti anti-infiammatori come importante componente per mitigare l’infiammazione stessa. Questi importanti risultati scientifici ottenuti recentemente si vanno ad aggiungere alle già note evidenze che alcuni componenti alimentari, tra cui polifenoli e altri tipi di composti presenti soprattutto nella frutta, frutti di bosco, verdura, noci, cereali integrali e cibi di origine marina, possono svolgere un ruolo importante ad attenuare e mitigare processi cronici pro-infiammatorii associati con malattie croniche. Importanti line guida sono state riportate in un lavoro pubblicato recentemente su Journal of Agricoltural and Food Chemistry dal Prof. Alexander G. Schauss dell’ USDA Arkansas Children’s Nutrition Center, Department of Physiology and Biophysics, University of Arkansas for Medical Sciences (J. Agric. Food Chem. 2012, 60, 6703−6717). Per chi è interessato a ricevere una copia personale del lavoro citato può contattarmi liberamente (paolo.grieco@unina.it).

 Precauzioni quando non si hanno dati clinici sufficienti…..

La Camomilla (Matricaria recutita, Chamaemelum nobile)  è comunemente usata per le sue proprietà sedative e effetti antispasmodici sebbene sia dotata anche di attività antisettica e antinfiammatoria, per cui è applicata come un agente vulnerario, ossia usato per le sua azione cicatrizzante sulle ferite e sulle piaghe.  Il preparato è comunemente disponibile in capsule, estratti fluidi e in forma di preparazioni topiche. La camomilla è composta da vari ingredienti tra cui la cumarina, glicosidi, heniarina, flavonoidi, farnesolo, nerolidolo e germacranolide. Nonostante la presenza di cumarina i possibili effetti  della camomilla sul sistema di coagulazione non è ancora stato studiato; analogamente sono sconosciuti clinicamente i potenziali e significativi risvolti a riguardo delle interazione con farmaci antiaggreganti/anticoagulanti, come aspirina o altri FANS. Per questo motivo, fino a quando non sono disponibili ulteriori informazioni, non è raccomandato l’uso di queste sostanze contemporaneamente.

 L’Anice e i suoi derivati

L’Anice (Pimpinella anisum L., Apiaceae) e il suo olio essenziale sono ampiamente utilizzati nella medicina popolare, in farmacia e nell’industria alimentare. Precedenti dati riportati in letteratura  sull’impatto dell’ anice sulle funzioni del sistema nervoso centrale (SNC), hanno sollevato la questione delle possibili sue interazioni con farmaci che agiscono nel sistema nervoso centrale. Recentemente è stato effettuato uno studio mirato a esaminare l’influenza dell’ anice e del suo olio essenziale sugli effetti di alcuni farmaci che agiscono nel sistema nervoso centrale.

In questo studio pubblicato su Fitoterapia (24 Agosto 2012), sono stati testati nei topi, dopo cinque giorni di pre-trattamento per via orale con una dose umana equivalente di anice (0.3mg/kg), gli effetti della codeina, diazepam, midazolam, pentobarbital, imipramina e fluoxetina. Questo studio ha evidenziato che in presenza di anice o del suo olio essenziale si verifica un significativo aumento dell’effetto analgesico della codeina. Variazioni significative dell’attività farmacologica si è avuto anche con il diazepam, midazolam e pentobarbital. Infine, in presenza di anice è stata osservata una diminuzione dell’effetto antidepressivo dell’imipramina e della fluoxetina. Sulla base di questi risultati si può concludere che l’assunzione concomitante di prodotti dell’ anice e farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale deve essere evitata a causa di potenziali interazioni. Ulteriori studi clinici sono ancora in corso.

 Gli Effetti del Ginseng

Il Ginseng, termine generico della pianta Panax L. è una specie erbacea perenne a crescita lenta con le radici carnose, appartenente alla famiglia Araliaceae, di origine asiatica, e che ultimamente sta vivendo un periodo di notevole diffusione ed uso.  La sua recente notorietà è dovuto al fatto che è stato dimostrato che i principi attivi contenuti nel ginseng migliorano la libido e le prestazioni sessuali. Questi effetti potrebbero non essere dovuti a cambiamenti nella secrezione ormonale, ma bensì ad una azione diretta da parte dei componenti del ginseng (fitoestrogeni) sul sistema nervoso centrale e sui tessuti gonadici. In alcuni studi, il ginseng è stato dimostrato avere effetti stimolanti sull’ipofisi per aumentare la secrezione delle gonadotropine. Ma è importante sapere che questo prodotto di origine naturale può interferire con gli effetti anticoagulanti del warfarin (Coumadin). Inoltre, il ginseng può aumentare gli effetti anticoagulante dovuti all’uso di aspirina e farmaci anti-infiammatori non steroidei come l’ibuprofene, naproxene, ketoprofene. Inoltre, la combinazione di ginseng con inibitori MAO che contengono Fenelzina o Tranilcipromina, può causare mal di testa, disturbi del sonno, nervosismo e iperattività.

Pertanto, prima di un suo uso bisogna valutare bene gli effetti collaterali specialmente se assunto in pazienti che hanno superato la soglia dei 50 anni o che facciano uso di farmaci sopra indicati.

 

 Le Fave e….il Parkinson.

Le fave sono dei legumi ricchi di componenti essenziali per la vita, tra cui, ferro, magnesio potassio, zinco e vitamine. Ma non è tutto! Infatti, 100 grammi di semi di fave fresche, sebbene non molto calorici (contengono 56 calorie), presentano anche 20 g di carboidrati, 5 g di proteine, 2 g di fibre e……LEVODOPA! Ebbene si, proprio la Levodopa, il principio attivo contenuto in diversi preparati farmaceutici, usato nella terapia sintomatica del Parkinson. E’ stato calcolato che 100 g di prodotto fresco possono contenere un valore variabile di Levodopa, generalmente da 50 a 100 mg. Ovviamente tale quantità non è sufficiente a curare sintomaticamente il Parkinson ma non dimentichiamo che non è corretto nemmeno un regime terapeutico con un eccessiva quantità di Levodopa. Per questo motivo è buona pratica informare chi fa uso di farmaci contenenti Levodopa della possibile integrazione del principio attivo se si fa uso eccessivo di fave. In ogni caso gli studi continuano…..

Analoga raccomandazione vale per chi usa i MAO inibitori, farmaci quali isocarbossazide (Marplan), fenelzina (Nardil), tranilcipromina (Parnate), e la selegilina (deprenyl). In ogni caso è bene informare sempre il medico delle proprie abitudini alimentari quando si è costretti ad assumere farmaci sopra elencati (J Neurol Neurosurg Psychiatry 55:725-727, 1992).

 Il KIWI: lo sapevi che….

Il Kiwi contiene un elevato contenuto di Serotonina che può generare un effetto sinergico quando combinato con gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). Questa interazione può produrre livelli ematici di serotonina troppo elevati, provocando nel paziente stati di  agitazione, confusione, mal di testa e nausea. Inoltre, il Kiwi può aumentare il rischio di sanguinamento quando assunto con alcuni farmaci quali aspirina, warfarin, eparina, antiaggreganti piastrinici ed altri FANS come l’ibuprofene, naprossene.

 A proposito di Tetracicline e Chinolonici

Come è ben noto gli Antibiotici sono ampiamente prescritti nella pratica medica. Non tutti però sanno che esistono molteplici interazioni tra loro ed il cibo che assumiamo con la dieta. Queste interazioni possono seriamente compromettere la loro efficacia anti-infettiva e addirittura provocare effetti tossici. Cosi ad esempio, bisognerebbe evitare la somministrazione concomitante di antibiotici con i prodotti lattiero-caseari, fonti ricchi di ioni calcio e magnesio, che possono complessare alcuni antibiotici impedendone il loro assorbimento. L’assunzione di prodotti lattiero-caseari, tuttavia, deve essere monitorata e incoraggiata con adeguata considerazione degli antibiotici specifici coinvolti.
E la lista degli esempi potrebbe continuare. Ad esempio, una serie di studi clinici testimoniano che i derivati fluorochinoloni formano un complesso poco solubile con ioni metallici presenti nel cibo riducendo la loro biodisponibilità. Ovviamente anche la caseina e calcio presente nel latte creano lo stesso effetto sull’assorbimento di ciprofloxacina. Inoltre, è stato studiato l’effetto di possibili interazioni di cinque succhi di frutta sulla dissoluzione e sul profilo di assorbimento di compresse di ciprofloxacina. In questo studio si è constatato che l’assorbimento di ciprofloxacina (500 mg) può essere ridotto con concomitante ingestione del succo di pompelmo e di tutti gli agrumi che contengono la Naringenina, il flavonoide responsabile della ridotta biodisponibilità di molti farmaci (Nig Q J Hosp Med 2007 Jan-Mar;17:53-57). Pertanto, per evitare fallimenti terapeutici e la nascita di resistenza batterica, come risultato di sub-livello terapeutico del farmaco nella circolazione sistemica, la contemporanea l’ingestione del succo di pompelmo e altri agrumi dovrebbe essere evitato.

Ancora, l’Azitromicina quando viene assunta con cibo il suo assorbimento diminuisce, con conseguente riduzione del 43% in biodisponibilità. Per le Tetracicline, invece, di cui si parlava sopra, devono essere assunte un’ora prima o due ore dopo i pasti, ovviamente, non presi con il latte perché il calcio e il ferro influenzano negativamente la sua biodisponibilità. Addirittura è stato valutato l’effetto di latte aggiunto al caffè o tè nero sulla biodisponibilità della tetraciclina in soggetti sani. I risultati di questo studio hanno mostrato che anche una piccola quantità di latte che contiene ridotte quantità di calcio, può compromettere gravemente l’assorbimento del farmaco, così che la presenza di questo ione deve essere attentamente controllata al fine di evitare la sua efficacia terapeutica. Infine, è bene ricordare che sebbene molti farmaci presentano nella loro forma farmaceutica un rivestimento enterico tale da permettere  disintegrazione della compressa solo nella parte bassa dell’intestino, molti alimenti sono in grado di interferire anche durante questa fase (J. Pharm. Sci. 2008, 97:5341-5353). Per questo motivo oggi si studiamo formulazioni farmaceutiche che siano in grado di garantire la disgregazione delle compresse in siti dell’intestino diversi dove avviene l’assorbimento di gran parte del cibo assunto.

Ecco alcune linee guida per
le Tetracicline e i Chinolonici raccomandate dalla FDA:

CHINOLONICI

La Ciprofloxacina e la Moxifloxacina possono essere assunte a stomaco pieno o vuoto. Per la Levofloxacina le compresse possono essere assunte a stomaco pieno o vuoto, mentre in soluzione orale deve essere assunta 1ora prima o 2 ore dopo i pasti.
Non assumere la Ciprofloxacina con latticini (come latte e yogurt) o succhi di frutta arricchiti di calcio. Inoltre, è bene evitare cibi o bevande a base di caffeina, in quanto la caffeina si può accumulare nell’organismo.

TETRACICLINE

Assumere preferibilmente 1 ora prima o 2 ore dopo i pasti, con un bicchiere pieno d’acqua ma evitare si assume le compresse con succhi di frutta. Inoltre, evitare l’assunzione di latticini (latte, formaggio, yogurt, gelati) almeno 1 ora prima della sua somministrazione.

 Assumere a Stomaco pieno o vuoto? Ecco il dilemma!

Ecco una preliminare classificazione dei principali farmaci che vanno assunti a stomaco pieno o vuoto per non limitare la biodisponibilità del farmaco o provocare reazioni collaterali al paziente. Le tabelle riportate verranno continuamente aggiornate e in una prossima NEWS verranno riportate più dettagliate informazioni in merito!!

Per scaricare i file vai nella sezione Download

 Vedi e Scarica in Download le prime brevi indicazioni!

Nelle sezione Download scarica le preliminari indicazioni delle interazioni Farmaco-Cibo e Vegetali-Erbe-Cibo!

Sono in formato pdf e in futuro verranno costantemente aggiornate ed ottimizzate!

 Anche il Succo di Arancia e di Mela!!!!

Succo d’Arancia e di Mela

Dopo il succo di Pompelmo anche il succo di Arancia e di Mela sembrano avere importanti azioni sulla biodisponibilità di alcuni farmaci. In particolare, quest’ultimi sono in grado, ad esempio, di ridurre l’efficacia dell’ Aliskiren un importante inibitore della renina come riportato in uno studio pubblicato su Br J Clin Pharmacol  73, 4–8 (2011).

 Interazioni Frutta-Verdura e Farmaci

Interazioni Frutta-Vegetali e Farmaci

Le sostanze fitochimiche contenute nella Frutta e nei Vegetali possono seriamente influenzare la biodisponibilità dei Farmaci e ridurre le loro capacita terapeutiche. Uno studio molto interessante è stato pubblicato recentemente su Journal of Food Science  Vol. 76, Nr. 4, 2011

Presto su questo sito verrà riportato un approfondito commento!

 Visita il sito FDA!

Visita il sito www.fda.org per vedere una interessante presentazione sul tema interazioni farmaco-cibo.

E segui costantemente gli ultimi aggiornamenti ritornando su questo sito! Ciao.

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